13. ottobre 2025

Giorgio Behr: «Perché l’economia non ha bisogno di accordi con l’UE»

L’imprenditore Prof. Dr. Giorgio Behr, co-presidente di autonomiesuisse e presidente del consiglio di amministrazione del Behr Bircher Cellpack (BBC) Group sa come avere successo con le esportazioni. Le sue aziende operano in tutta Europa, in Cina e negli USA in settori come la distribuzione energetica, la tecnica medicale, l’ingegneria e il comparto dei sensori. Inoltre, Behr è stato a lungo presidente del consiglio di sorveglianza di ZF Friedrichshafen, uno dei principali fornitori al mondo di componenti per l’industria dei trasporti.

Dopo aver analizzato in dettaglio i nuovi accordi con l’UE, la conclusione di Behr è chiara: «L’economia non ha bisogno di questi accordi». In un episodio speciale del podcast «Bern einfach», Behr – parlando con il giornalista Dominik Feusi – spiega perché i tanto citati argomenti di alcune associazioni a favore di un legame più stretto con Bruxelles non sono così inattaccabili.

1. L’economia non ha bisogno di un aggiornamento dell’MRA

L’accordo per eliminare gli ostacoli tecnici al commercio (MRA) è entrato in vigore con i Bilaterali I. «Un aggiornamento nell’ambito dei nuovi accordi è superfluo», ritiene Behr. Con le norme previste dall’MRA II, la Svizzera dovrebbe adottare tutte le disposizioni dell’UE. «La maggior parte della PMI richiede l’omologazione del proprio prodotto direttamente in un Paese UE», afferma Behr. «Spesso costa meno che in Svizzera. E, al contempo, le autorità possono fornire indicazioni utili sul mercato locale».

Behr spiega che l’industria realizza circa il 23 percento del PIL svizzero, ma molte PMI non esportano per niente o sono puramente subfornitori. Si allineano alle norme ISO internazionali e non hanno bisogno di un’omologazione UE. «La percentuale di quelle imprese che potrebbero beneficiare dell’MRA è estremamente piccola», rimarca Behr.

Perché allora la gran parte delle aziende e dei contribuenti dovrebbe farsi carico di ingenti costi per qualcosa di cui, all’atto pratico, quasi nessuno usufruisce?

2. La Svizzera può disciplinare la libera circolazione delle persone autonomamente

Secondo Behr, un rifiuto degli accordi quadro non vuol dire la fine della libera circolazione delle persone. «Anche in assenza di un accordo con l’UE, la Svizzera potrebbe continuare ad ammettere frontalieri e ad accogliere forza lavoro dall’UE come fatto finora», spiega. La differenza sta nel fatto che la Svizzera potrebbe, ad esempio, disciplinare il ricongiungimento familiare in maniera autonoma.

I sostenitori degli accordi quadro, invece, tralascerebbero i costi della libera circolazione delle persone e, in particolare, della direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE. Facciamo un esempio: «Se, in futuro, aumentassero gli studenti UE nelle scuole universitarie svizzere, e se questi non pagassero un supplemento, il prezzo lo potrebbe pagare la comunità», avverte Behr.

3. Gli studi commissionati sono fondati al pari dei loro assunti

Gli studi Ecoplan commissionati dal Consiglio federale attribuiscono il successo economico della Svizzera soprattutto alla libera circolazione delle persone. Per Behr si tratta di una visione troppo semplicistica: «La solidità di un’economia dipende da un’infinità di fattori. Che gli assunti di questi studi poggino su basi molto instabili è evidente».

Behr giunge alla conclusione che la Svizzera debba potenziare i suoi punti di forza in autonomia. Ed è convinto che «di un’economia elvetica forte ne benefici anche l’Europa».