Buone notizie per lei

Ogni giorno ci impegniamo per una Svizzera aperta al mondo, vincente e libera. Sulla base della nostra esperienza imprenditoriale, mettiamo in discussione le posizioni politiche diffuse e illustriamo con un approccio pragmatico i vantaggi localizzativi della Svizzera. Resti al corrente dei progressi conseguiti.

21. novembre 2024

L’ex presidente della Corte di giustizia dell’AELS corregge il presidente del Consiglio nazionale

Le cittadine svizzere e i cittadini svizzeri devono avere la facoltà di decidere come impostare la propria politica europea? Alcuni ambienti politici sembrano volerlo piuttosto impedire.

Per questo preferiscono mistificare la realtà utilizzando eufemismi. Quando la Svizzera deve implementare automaticamente il diritto europeo, si parla eufemisticamente di recepimento «dinamico» del diritto. E anziché di un accordo quadro istituzionale con l’UE, si parla di «Bilaterali III» – come se si trattasse di accordi paritari.

Scambio di colpi verbali

Analogamente, l’ambasciatore dell’UE in Svizzera Petros Mavromichalis e l’attuale presidente del Consiglio nazionale Eric Nussbaumer affermano che con gli accordi la Svizzera non deve accettare «giudici stranieri», riferendosi all’idea che il «tribunale arbitrale paritetico» debba esprimersi in caso di divergenze tra la Commissione europea e la Svizzera. A questo scambio di colpi verbali con l’ultraeuropeista Nussbaumer ha preso ora parte anche il Prof. Dr. Carl Baudenbacher, ex presidente della Corte di giustizia dell’AELS di Lussemburgo, con un post su LinkedIn.

Standard post-sovietico per la Svizzera

Nel suo intervento il professore spiega a Eric Nussbaumer che la sua tesi è insostenibile, in quanto il tribunale arbitrale avrebbe soltanto un ruolo «formale». Esso, infatti, è obbligato a rivolgersi alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), che dal canto suo emetterebbe una sentenza vincolante. «Il modello del tribunale arbitrale proforma deriva degli accordi dell’UE con i mercati emergenti post-sovietici», scrive Baudenbacher. «Chiunque abbia dimestichezza in materia di UE e SEE si rende conto che l’intento è quello di nascondere l’enorme trasferimento di sovranità all’Unione. Ma in nessun caso si vogliono concedere competenze reali al tribunale arbitrale proforma.»

È altamente probabile che lo stesso Nussbaumer sia caduto in una manovra ingannevole, come aggiunge Baudenbacher. Secondo quest’ultimo, infatti, l’amministrazione federale sta purtroppo fraintendendo «il suo mandato di fornire informazioni obiettive».

05. novembre 2024

Il pacchetto UE perde valore – ed è sempre più costoso!

Ogni volta che la Svizzera e l’UE parlano di un accordo quadro istituzionale, mostrano entrambe un comportamento che si discosta chiaramente dalla «routine» dei colloqui intergovernativi alla pari. 

Ad esempio, cosa fa un’azienda se non riesce a sbarazzarsi di un prodotto? Ne riduce il prezzo.

Il comportamento dell’UE è l’esatto opposto. Offre alla Svizzera un «accesso settoriale preferenziale al mercato interno». In cambio, chiede che la Svizzera adotti la sua legislazione, si sottoponga alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) ed effettui vari pagamenti. Questo è stato uno dei motivi per cui la Svizzera ha elargito un primo «miliardo di coesione» per l’espansione a est dell’UE nel 2006 e sbloccato ben 1,3 miliardi di franchi per un periodo di oltre dieci anni nel 2021.

Ora l’UE insiste affinché la Svizzera sborsi ancora più denaro e chiede quasi mezzo miliardo all’anno. Si richiama alla Norvegia, che versa a Bruxelles circa 450 milioni di euro all’anno. A differenza della Svizzera, la Norvegia fa parte dello Spazio economico europeo (SEE).

Ma anche gli esponenti politici svizzeri si sono comportati in modo strano. Prima di fare un acquisto, ogni privato si chiede: a cosa mi serve questo prodotto? Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), invece, sorvola intenzionalmente sui vantaggi dell’«accesso al mercato interno». Sul sito web si legge che circa la metà delle nostre esportazioni avveniva verso l’UE. Non è più così da tempo. Secondo l’Ufficio federale di statistica, la percentuale si attesta a poco meno del 40 percento. La tendenza è in diminuzione da anni.

Di fatto, i vantaggi dell’accesso preferenziale al mercato interno dell’UE sono microscopici. La Cina e gli USA, ad esempio, esportano nell’UE molto più della Svizzera. Negli ultimi 30 anni, inoltre, le loro esportazioni sono talvolta cresciute a ritmo più sostenuto rispetto a quelle della Svizzera – anche se nessuno dei Paesi dell’UE applica una tassa sul «mercato interno». Al contrario della Svizzera, non hanno nemmeno un accordo di libero scambio con l’UE.

Infine, è fastidioso che l’UE accusi quasi come un mantra la Svizzera, suo principale cliente, di opportunismo. Del resto, realizza ogni volta un significativo incremento nella bilancia commerciale. Non è l’UE a fare «regali ai clienti», ma sempre l’«acquirente»: di recente la Svizzera ha annunciato che la Confederazione, da sola, intende investire 50 milioni di franchi nella tratta tedesca della linea ferroviaria dell’Alto Reno. Quale altro Paese finanzia le linee ferroviarie di altri Paesi?

26. ottobre 2024

Sondaggio Svizzera-UE: il Consiglio federale sta ignorando il popolo?

Sono passati 25 anni dall’entrata in vigore degli accordi bilaterali I con l’UE. Eppure, un sondaggio rappresentativo condotto dall’istituto di ricerca GFS Bern per conto della SSR rivela che l’elettorato ha poca voglia di festeggiare. Il 49 percento delle svizzere e degli svizzeri vede l’UE in modo negativo. Solo il 28 percento esprime un atteggiamento positivo nei confronti dell’UE, mentre il 22 percento ha sentimenti contrastanti.

Il popolo condivide le preoccupazioni di autonomiesuisse: la Svizzera potrebbe perdere la sovranità nazionale e consegnare il controllo alle istituzioni comunitarie. Inoltre, l’83 percento considera l’UE un «carrozzone burocratico» e il 66 percento ritiene che l’UE non sia in grado di reagire alle grandi sfide del mondo.

Ciononostante, una maggioranza considera gli accordi bilaterali importanti. Ma anche in questo caso bisogna fare il punto della situazione: per l’80% gli accordi bilaterali sono i principali responsabili dell’alto livello di immigrazione. E molti ritengono che anche l’aumento degli affitti e il calo dei salari siano dovuti ai tanto osannati accordi.

Che beneficio trae la Svizzera del mercato interno dell’UE? Sta di fatto che, dall’introduzione degli accordi bilaterali, le esportazioni verso gli USA, la Cina e l’India sono aumentate considerevolmente, mentre sono nettamente diminuite quelle verso i Paesi più importanti dell’UE: Germania, Francia e Italia.

24. ottobre 2024

Premio Nobel per l’economia: un aiuto per la democrazia svizzera?

Perché alcune nazioni sono ricche e altre poverissime? Una domanda che si sono posti anche gli economisti Daron Acemoglu, Simon Johnson e James Robinson. I loro studi tornano indietro fino al periodo coloniale. E adesso i professori con cattedre negli Stati Uniti hanno vinto il premio Nobel per l’economia. La loro conclusione: democrazia, Stato di diritto e benessere vanno di pari passo. Più che menti brillanti e un governo forte conterebbero istituzioni stabili, democratiche e fondate sullo Stato di diritto. Durante la teleconferenza, Acemoglu ha sottolineato che le persone dovrebbero rivendicare i loro diritti democratici e una governance migliore. In occasione di un intervento all’UBS Center for Economics in Society dell’Università di Zurigo, qualche anno fa ha lodato le strutture estremamente democratiche della Svizzera, il federalismo e l’autonomia locale, nonché il sistema scolastico. Hans Gersbach, direttore del Centro di ricerca congiunturale del Politecnico federale di Zurigo, ha dichiarato a «Cash»: «Per la Svizzera, i premi Nobel mostrano indirettamente quanto le nostre istituzioni economiche e politiche – e il loro sviluppo – siano importanti per il futuro economico del Paese».

30. settembre 2024

Iniziativa bussola: firmare ora per fornire delle linee guida al Consiglio federale

«È inaccettabile che il Consiglio federale subappalti la nostra legislazione all’estero», ha sostenuto il movimento Kompass/Europa, vicino agli imprenditori Alfred Gantner, Marcel Erni e Urs Wietlisbach.

Ora lancia la sua Iniziativa bussola. L’iniziativa vuole fissare nella Costituzione federale l’impossibilità per la Svizzera di cedere la propria giurisdizione a Paesi stranieri. In questo modo si vuole proteggere la democrazia diretta e impedire che la Svizzera vada verso un’adesione passiva all’UE.

Allo stesso tempo, il testo dell’iniziativa prevede che tutti i trattati che mirano a una significativa adozione dinamica dei diritti dall’estero debbano essere sottoposti al referendum obbligatorio sui trattati internazionali. In concreto, trattati come l’accordo quadro 2.0 con l’UE potrebbero essere conclusi solo se approvati dal popolo e dai cantoni.

La legislazione e la giurisdizione sono tra le competenze cardine di uno Stato e ne definiscono l’essenza. Con l’adozione dinamica dei diritti, prevista dal Consiglio federale nei negoziati con l’UE, si apre un «vaso di Pandora». Nemmeno l’amministrazione è ancora in grado di stimare con esattezza quante leggi siano coinvolte nell’accordo quadro 2.0. E intanto Bruxelles crea ogni giorno almeno una nuova legge.

È anche vero che già secondo la legge attuale l’accordo quadro 2.0 sarebbe soggetto al referendum obbligatorio sui trattati internazionali. Tuttavia, per fare chiarezza e fornire al Consiglio federale delle linee guida per i futuri colloqui con l’UE, autonomiesuisse consiglia di firmare l’iniziativa bussola. Entro la fine di marzo 2026, i promotori dell’iniziativa devono raccogliere 100 000 firme valide.

25. settembre 2024

Le leggi dell’UE sono invasive per la Svizzera?

Il Dr. Hans-Jörg Bertschi, presidente del CdA del Bertschi Group e co-presidente di autonomiesuisse, Urs Wietlisbach, cofondatore del Partners Group e di Kompass/Europa, Nicola Forster, giurista ed ex presidente del GLP di Zurigo, e Stefan Brupbacher, direttore di Swissmem si sono incontrati il 25 settembre 2024 a Nottwil durante la tavola rotonda moderata da Reto Brennwald «Svizzera - EU: quale aspetto dovrebbe avere la via bilaterale?».

«L’UE ha un numero di leggi quattro volte superiore a quello della Svizzera. Ed è molto più giovane», ha detto Wietlisbach. «Perché dovremmo adottare questa montagna di leggi con l’accordo quadro 2.0?», si è chiesto. Gli Stati Uniti e la Cina hanno esportato con successo nell’UE senza neanche pensare a queste leggi contorte.

Bertschi ha sottolineato che il vantaggio di un «accesso privilegiato al mercato» nell’UE è minimo. «I prodotti innovativi sono molto più importanti. E questi nascono quando le condizioni quadro sono corrette. Abbiamo bisogno di regole migliori, non delle stesse dell’UE». Inoltre, è sbagliato parlare di «Bilaterali III». Perché non si tratta di un accordo alla pari. L’UE usa il termine «accordo istituzionale».

Brupbacher ha riferito di aver sperimentato l’assurdità di Bruxelles in varie sessioni, ma che firmerà comunque l’accordo quadro con l’UE: «Non è vero che dobbiamo adottare centinaia di leggi. Alcune possiamo anche rifiutarle.» Ma a irritarlo ancora di più è il fatto che, spesso, i legislatori svizzeri aumentano inutilmente la densità normativa senza ricevere alcuna pressione dall’esterno.

Forster cita l’esempio del settore della tecnologia medica per dimostrare quanto l’UE possa esercitare una pressione efficace, quando la Svizzera non segue il suo esempio. La sola Ypsomed ha 40 collaboratori che si occupano delle valutazioni di conformità per l’UE. Wietlisbach però controbatte: «Il prezzo delle azioni di Ypsomed è salito rapidamente e quel settore ha creato posti di lavoro.»

23. settembre 2024

Svizzera-UE: il PLR zurighese sveglierà il partito dal sonno profondo?

Da quando Filippo Leutenegger ha assunto la presidenza cantonale del PLR, giura di riportare il partito ai valori liberali che un tempo lo caratterizzavano. Il partito liberale zurighese osa addirittura affrontare una «vacca sacra» – la libera circolazione delle persone con l’UE. Esige un piano di salvaguardia efficace «per controllare e ridurre l’immigrazione dall’UE». Solo lo scorso anno, infatti, in Svizzera si sono riversate ufficialmente quasi 100 000 persone. Con questo ritmo, l’infrastruttura non potrà più tenere il passo, avverte il PLR zurighese. Questi toni sono così insoliti che il caporedattore della rivista «Nebelspalter», Markus Somm, nel «Somms Memo» parla di una «svolta epocale».

La domanda delle domande: come reagisce il PLR nazionale? Alcuni parlamentari come Marcel Dobler, Peter Schilliger e Christian Wasserfallen appoggiano il cambio di rotta. Il Consigliere nazionale del PLR zurighese Hans-Peter Portmann riassume la questione in poche parole: «La libera circolazione delle persone deve avere un risvolto positivo per la Svizzera.» Il presidente del partito Thierry Burkart auspica una clausola di salvaguardia efficace nel trattato con l’UE. Tuttavia, il PLR intende avviare la discussione sull’accordo quadro 2.0 in tutta la Svizzera solo dopo che il Consiglio federale avrà formalizzato il risultato dei negoziati.

Nel frattempo, le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo fanno scuotere il capo. I giudici di Strasburgo annullano una sentenza svizzera: uno spacciatore di droga della Bosnia-Erzegovina non va espulso dal Paese – e riceverà invece un risarcimento di 10 000 franchi dai contribuenti.

A prescindere da tali discussioni e alle spalle della leadership del partito, qualcuno sta già cercando di passare ai fatti: il Consigliere nazionale del PLR Simon Michel critica con toni mantrici le «tendenze isolazioniste» della Svizzera, si esprime a favore dell’immigrazione e si batte per un legame del Paese con l’UE. Tra le altre cose, sta organizzando dei «gruppi di discussione di membri e amici del PLR» con relatori che probabilmente firmerebbero senza riserve qualsiasi cosa in arrivo da Bruxelles.

20. agosto 2024

Parla l’ex CEO di banca: «Conserviamo la nostra economia!»

Non si può avere «la botte piena e la moglie ubriaca», sostengono molti amici dell’UE accusando la Svizzera. Zeno Staub, CEO della banca Vontobel fino alla fine del 2023, imprenditore e presidente di Arbeitsgemeinschaft Wirtschaft und Gesellschaft (AWG) del Cantone di Zurigo ed esponente di «die Mitte», riprende la metafora spiegandone il vero significato sul «Nebelspalter».

La ricetta del successo svizzero

La questione fondamentale non è né la moglie piena né la moglie ubriaca, ma conservare la nostra economia svizzera. L’adeguamento istituzionale all’UE, invece, significherebbe per noi abbandonare le nostre condizioni produttive. «Mercati del lavoro liberali, democrazia diretta, attività legislativa autonoma e pragmatica, federalismo, sussidiarietà, concorrenza fiscale», ecco gli ingredienti del successo della Svizzera secondo Staub.

Trattati basati sul buon senso

Staub suddivide i trattati con l’UE in cinque gruppi. Il primo gruppo comprende gli accordi comuni tra i Paesi dell’OCSE. Del secondo gruppo fanno parte i trattati a base geografica, in materia di trasporto terrestre e aereo e in materia di sicurezza, del terzo quelli che riguardano la ricerca, l’istruzione e l’innovazione. L’accesso contrattuale al mercato dell’UE in questi settori garantisce alla Svizzera condizioni simili a quelle della concorrenza globale.

Libera circolazione delle persone e MRA, economicamente sopravvalutati

Staub giudica in maniera più critica il quarto gruppo di trattati, che comprende l’accordo sugli ostacoli tecnici al commercio, MRA e libera circolazione delle persone. Secondo lui, la libera circolazione delle persone sarebbe sopravvalutata: «Non abbiamo bisogno di un trattato con l’estero solo per poter assumere in Svizzera persone dall’estero e permettere alle loro famiglie di stabilirsi qui.» Staub suppone che la Svizzera miri semplicemente a un controllo indipendente dell’immigrazione, anche se la crescita della popolazione ha raggiunto una tale entità da mettere a repentaglio il consenso sociale.

Anche i vantaggi dell’MRA sono, secondo lui, «esigui». A dimostrarlo sarebbero il successo delle esportazioni di Cina, Corea del Sud e Stati Uniti verso l’UE e il fatto che, solo nel 2020/2021, il settore medtech nello status di Paese terzo ha creato circa 4500 nuovi posti in Svizzera alle stesse condizioni della concorrenza globale.

Il quinto gruppo di trattati, che mira all’adeguamento istituzionale con l’UE, merita un secco «no», conclude Staub. Altrimenti i nostri figli non avranno più nulla.

05. agosto 2024

Gli storici avvertono: «i funzionari sono i nuovi principi»

«Chi conosce la storia capisce il presente», recita un proverbio. È per questo che gli storici Oliver Zimmer – che ha vissuto nel Regno Unito per 27 anni, di cui decenni come professore a Oxford – e Tobias Straumann esprimono preoccupazione per i tentativi della Svizzera di agganciarsi all’UE. 

Zimmer vede un pericolo per la democrazia diretta. Ritiene infatti, come dichiara all’«NZZ», che la politica svizzera sia elitaria, pensi in modo sempre più uniforme e preferisca orientarsi verso l’UE piuttosto che verso i diritti popolari: «Ci sono molte persone, anche con una buona istruzione, che dal punto di vista storico sono piuttosto carenti. Hanno la sensazione che il treno del progresso viaggi inevitabilmente nella direzione sovranazionale, verso l’UE.» Zimmer sostiene che la paura di perdere il treno per Bruxelles sia un errore. 

L’UE si muove in modo assolutistico

«L’UE si inserisce nella tradizione dell’assolutismo illuminato, un periodo in cui i sovrani illuminati e ben intenzionati e i loro consiglieri volevano attuare riforme a beneficio dei loro sudditi. I principi di allora sono adesso i funzionari con formazione amministrativa», sottolinea Zimmer. I funzionari avrebbero interesse a trasferire il maggior potere possibile all’amministrazione e ai tribunali. I parlamenti e i cittadini costituirebbero per loro «un fattore di disturbo».

Per Zimmer è quindi chiaro che sono il popolo e i cantoni a dover decidere sull’accordo istituzionale con l’UE. Altrimenti diremmo addio all’articolo 1 della Costituzione federale.

Quando si sveglieranno le associazioni economiche?

Lo storico dell’economia Straumann analizza come l’UE abbia cambiato radicalmente il suo carattere nel corso degli anni. «Un tempo era un progetto effettivamente liberale, ma ora è diventato un costrutto altamente condiscendente, anche nei confronti dei suoi stessi Stati membri. Non credo che i Paesi dell’UE si troveranno in una situazione favorevole se l’UE continuerà ad ampliare le proprie competenze», commenta su «Weltwoche». Ritiene che la Svizzera sia «già ampiamente» integrata nell’UE: «A mio avviso, gli accordi bilaterali non vanno sviluppati ulteriormente.»

Un aspetto sorprende particolarmente Straumann: che le associazioni economiche «prendano a malapena sul serio» lo svantaggio di un legame con l’UE. Un accordo istituzionale comporterebbe «una regolamentazione molto più rigida per le aziende svizzere».

29. luglio 2024

Si auspica un dibattito aperto ed equo sull’UE!

«Jans kann’s» (Jans può farcela) titolava il «Weltwoche» quando Beat Jans ha iniziato il suo mandato di Consigliere federale. Adesso si sta diffondendo da più parti la disillusione. Nell’«NZZ», infatti, Beat Jans ha elogiato esageratamente la soluzione pacchetto con l’UE. Ha addirittura affermato che, grazie a un rapporto regolamentato con l’UE, la Svizzera acquisirebbe maggiore sovranità.

Ha replicato l’ex Consigliere federale Ueli Maurer, sempre nell’«NZZ»: «Si tratta di una distorsione quasi malvagia dei fatti. Come si può rafforzare la sovranità e l’autodeterminazione delle svizzere e degli svizzeri se le decisioni vengono prese non da noi ma da Bruxelles?» Ciò metterebbe a repentaglio l’indipendenza della Svizzera.

«Beat Jans e Ueli Maurer non agiscono in modo magistrale», ha dichiarato al «Blick» il presidente del PLR Thierry Burkart. Ma una cosa è chiara per lui: «È estremamente sconveniente in termini di tattiche di negoziazione, che Beat Jans, in qualità di rappresentante del Governo non responsabile del dossier, segnali alla controparte, prima ancora che i negoziati siano conclusi e che l’intero Consiglio federale abbia preso posizione, che la Svizzera ha bisogno praticamente di qualsiasi risultato e che quindi lo accetterebbe.» A qualcuno sorprende che la rivista «Nebelspalter» abbia definito il Consigliere federale come l’«impacciato del giorno»?

Jans e Maurer meritano lodi, non rimproveri – scrive Arthur Rutishauser, caporedattore del «SonntagsZeitung». Perché dovremmo discutere dei trattati con l’UE. «Alla, fine ci sarà una perdita di sovranità perché la Svizzera dovrà adottare le leggi dell’UE pertinenti e le evoluzioni delle stesse. Come tutto ciò sia compatibile con la democrazia diretta rimane un mistero. Non ci saranno praticamente più referendum sui temi in questione, perché non si potrà dire di no senza complicare le cose.»

Con queste premesse, anche autonomiesuisse auspica un dibattito aperto e sincero sugli accordi con l’UE. È comunque inaccettabile che un Consigliere federale da un lato non si esprima nei confronti dell’opinione pubblica svizzera sui negoziati con l’UE, ma dall’altro dia precipitosamente il via libera alla controparte di Bruxelles su tutto il campo senza consultazioni collegiali. Così facendo, il Consigliere federale rivela inutilmente la sua posizione negoziale.

A prescindere dal fatto che si sia favorevoli o contrari a un legame istituzionale con l’UE, autonomiesuisse sollecita una discussione senza un’agenda nascosta. Dal mandato negoziale del Consiglio federale emergono chiaramente tre aspetti:

1. Gli accordi quadro 2.0 comportano una perdita irrevocabile di sovranità e degradano sostanzialmente la democrazia diretta a un esercizio folcloristico.

2. A lungo termine, gli effetti negativi del pacchetto di trattati con l’UE prevalgono su eventuali vantaggi formali a breve termine. Perché distruggono i vantaggi economici della Svizzera.

3. I trattati limitano drasticamente i principi vincenti di sussidiarietà e federalismo. Poiché tali principi sono sanciti nell’art. 1 della Costituzione federale, è assolutamente indispensabile la maggioranza dei cantoni.

24. luglio 2024

Cosa succede quando un consigliere federale si trasforma in un capo attivista?

«Il Consiglio federale decide in quanto autorità collegiale», recita la Costituzione federale. «Le decisioni sono prese congiuntamente.» Tutti i membri del Consiglio devono difendere le decisioni verso l’esterno. «Ciò significa che il Consiglio federale cerca soluzioni consensuali invece di imporre un punto di vista in base al principio di maggioranza», spiega il Governo svizzero sul proprio sito web. Nella pratica, tuttavia, alcuni membri del Consiglio federale fanno fatica ad attenersi a questa cultura. Altrimenti perché Beat Jans è arrivato a esprimere sulla NZZ una presa di posizione su un argomento che non è di sua competenza? Ha forse concordato questa iniziativa affrettata con gli altri consiglieri?

A tutti gli effetti Beat Jans si sbaglia in almeno sette punti.

1. Egli scrive sistematicamente di «Bilaterali III», sebbene il Consiglio federale abbia creato allo scopo la dicitura «approccio a pacchetto». L’UE rifiuta il termine «Bilaterali», perché dalla Svizzera si aspetta un legame istituzionale.

2. Jans sostiene che sulle controversie tra l’UE e la Svizzera deciderebbe un tribunale arbitrale composto in modo paritetico – questo è falso! La Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha il monopolio in materia di interpretazione degli accordi, il Tribunale federale sarebbe esautorato e il finto tribunale arbitrale sarebbe vincolato alla CGUE.

3. Secondo Jans, senza accordo la Svizzera sarebbe inerme rispetto alle provocazioni dell’UE e quindi ora avrebbe bisogno della certezza del diritto. Con la sua burocrazia smisurata, in realtà, l’UE rappresenta quasi l’incarnazione dell’incertezza del diritto. Jans non comprende che tali provocazioni verrebbero addirittura legittimate dagli accordi quadro 2.0. Se, nell’ambito del recepimento dinamico del diritto, il Governo o il Parlamento respingono una nuova legge dell’UE, gli accordi consentono a quest’ultima di adottare a sfavore della Svizzera anche contromisure non pertinenti in tutti gli ambiti dell’accordo.

4. «Un accordo ci permette quindi di rafforzare la nostra sovranità (...) in modo che gli scienziati svizzeri possano condurre ricerche con i loro colleghi dell’UE e le nostre PMI possano intrattenere affari con i loro partner europei», vaneggia Jans. Non sa che le nostre PMI hanno pieno accesso al mercato UE sin dall’accordo di libero scambio del 1972? Con gli Stati Uniti non c’è un accordo del genere, eppure gli USA sono i nostri primi partner commerciali. L’unico asso nella manica dell’UE è «Horizon», ma anche questo è da relativizzare: nessun premio Nobel svizzero ha mai svolto ricerche nell’ambito di un programma europeo.

5. Sempre secondo Jans dovremmo recepire il diritto comunitario in modo «dinamico», non «automatico» – e solo quando si tratta dell’«accesso al mercato interno dell’UE». Il problema è che è l’UE a decidere cosa sia rilevante per il mercato interno. E se la Svizzera dovesse rinunciare, gli accordi autorizzerebbero l’UE a lanciare altre provocazioni.

6. «Il recepimento dinamico del diritto sarebbe inquietante se fosse un assegno in bianco per qualsivoglia nuova regolamentazione», ammette Jans. Secondo la normativa prevista, tuttavia, il recepimento dinamico del diritto è proprio un assegno in bianco. In altre parole, la Svizzera dovrebbe «comprare a scatola chiusa».

7. Quasi prevedibilmente, Jans elogia anche l’immigrazione, affermando che senza di essa non c’è benessere e non si risolve la carenza di personale qualificato. Che la Svizzera non possa crescere con una minore immigrazione è «dimostratamente falso», come spiega la rivista Nebelspalter. Senza un’eccessiva immigrazione dall’UE, l’economia svizzera crescerebbe in modo più sostenibile. È l’immigrazione stessa ad accentuare la carenza di personale qualificato: più persone, infatti, necessitano di più infrastrutture.

Questa è la visione di autonomiesuisse: quando, in riferimento all’UE, un governante parla in modo sdolcinato di «progetto di pace», «garante di stabilità e prosperità» e «comunità di valori», rivela le sue vere intenzioni. Non si preoccupa tanto della competitività e dell’indipendenza della Svizzera, quanto piuttosto di legarla maggiormente all’UE.

Di quali dichiarazioni possiamo ancora fidarci quando i consiglieri federali si trasformano in capi attivisti – e non disdegnano neppure il lobbismo? Un comportamento del genere mina le fondamenta della democrazia diretta, che contribuisce in modo decisivo alla leadership della Svizzera in termini di innovazione, benessere e stabilità.

18. luglio 2024

L’autoproclamato «Mr. Bilaterale» ricorre all’«age shaming»

A parte qualche fanatico dell’UE, quasi nessun politico è entusiasta della soluzione pacchetto del Consiglio federale con l’UE. Solo Simon Michel, Consigliere nazionale del PLR di Soletta, è fuori dal coro. Risalta ancora di più in quanto CEO di Ypsomed, l’azienda medtech quotata in borsa fondata dal padre. Tra i parlamentari, è nella stessa posizione economica di Magdalena Martullo-Blocher. Michel assume la presidenza dell’organizzazione di lobby Progresuisse. L'organizzazione ha creato l’agenzia di PR Furrerhugi – richiamando autonomiesuisse – per legare istituzionalmente la Svizzera all’UE.

«Prima di entrare nell’azienda di famiglia, Michel si occupava di marketing presso l’operatore di telefonia mobile Orange. Quest’uomo è un venditore che ogni tanto testa un’idea sul mercato», scrive il «TagesAnzeiger» in merito all’autoproclamato «Mr. Bilaterale». Si capisce che Michel è un venditore soprattutto nel suo modo di parlare. Definisce, abbellendola, la soluzione pacchetto come «Bilaterali III» e il «proseguimento del bilateralismo» – sminuendo le conseguenze.

All’insegna del motto «Non so di cosa parlo, per questo alzo la voce», attacca chi la pensa diversamente. «Un professore emerito che argomenta senza qualifiche con #bullshit, dovrebbe concentrarsi sul suo pensionamento e non mettere a repentaglio il futuro del nostro Paese», scrive su LinkedIn a proposito del Prof. Dr. Dr. h.c. Carl Baudenbacher, ex presidente della Corte di giustizia dell’AELS. In un altro contributo, inveisce contro i «vecchi uomini bianchi, guidati da un uomo bianco ancora più vecchio di Herrliberg», che, a quanto pare, demonizzano l’UE ... «senza nemmeno accennare a un piano B. È giunto per voi il momento di godervi la pensione e lasciare il futuro del nostro Paese alla prossima generazione, perché non è il vostro futuro, ma il nostro!»

Per autonomiesuisse si tratta di affermazioni, ma non di argomenti. Quanto dev’essere disperato un politico se sa solo insultare i suoi avversari? E il «giovanotto» 47enne Michel non riesce proprio a inventarsi qualcosa di diverso da un grossolano «age shaming»? Inoltre, ignora deliberatamente il fatto che gli esponenti di spicco del mondo economico che sostengono la posizione opposta sono più giovani di lui. Sorge un sospetto: Michel non si preoccupa tanto del suo Paese quanto dei suoi affari. Il settore medtech ha avvertito subito gli effetti della burocrazia di Bruxelles. Ypsomed, infatti, ha dovuto far ricertificare i suoi prodotti per poter continuare a venderli nell’UE.

Ironia della sorte: da quando il Consiglio federale ha affondato l’accordo quadro del 2021, l’andamento delle azioni di Ypsomed ha registrato sviluppi positivi.

03. luglio 2024

À quels tours de passe-passe devons-nous encore nous attendre?

L’accordo quadro 2.0 con l’UE deve essere approvato dalla maggioranza del popolo e dei cantoni? Una perizia commissionata dal Consiglio federale all’Ufficio federale di giustizia smentisce con fermezza questa tesi. Questo risultato ha sorpreso un’ampia cerchia politica, tanto che persino il Consiglio federale si sta preoccupando. Nonostante la perizia, ora si riserva di votare a maggioranza dei cantoni.

Del resto, l’accordo di libero scambio del 1972 e il trattato SEE del 1992 erano già stati sottoposti al popolo e ai cantoni. E l’accordo quadro che il Governo vuole ora concludere legherebbe ancora di più la Svizzera all’UE. Il 15 gennaio 2020, l’Ufficio federale di giustizia continuava a sostenere tesi diametralmente opposte a quelle odierne, come ha commentato su LinkedIn il Prof. Dr. Dr. Carl Baudenbacher, ex presidente della Corte di giustizia dell’AELS in Lussemburgo. Per lui, la «perizia di cortesia» è un esempio agghiacciante di «diluizione della metodologia giuridica». Ritiene, infatti, che si sia «mentito» sul contenuto dell’accordo quadro e che le conseguenze vengano minimizzate. Le radici della maggioranza dei cantoni risiedono nel fatto che un tempo si sono uniti alla Confederazione dei cantoni autonomi. La maggioranza dei cantoni è quindi più antica della maggioranza dei voti.

Cosa mai avrà indotto l’Ufficio federale di giustizia a interpretare la Costituzione in modo così stravagante? L’«NZZ» non esclude che «con il capodipartimento favorevole all'UE al comando, ci sia stato anche un incoraggiamento implicito a pensare in questo senso». C’è da sospettare, però, che i sostenitori dell’accordo quadro non credano che questo trattato abbia molte possibilità di successo in una campagna referendaria e stiano usando ogni cavillo legale per agevolarne l’approvazione.

Se l’Ufficio federale di giustizia sta già distorcendo i fatti in questo modo, c’è da chiedersi da quali altre fake news dovremo difenderci.

19. giugno 2024

Dopo il primo passo giusto, il caporedattore della NZZ compirà anche il secondo?

Il caporedattore della «NZZ» Eric Gujer trae spunto dall’occasione delle elezioni europee per esaminare da vicino il Consiglio europeo. Il suo giudizio è implacabile. Mentre l’UE ama atteggiarsi a tempio della democrazia e denunciare le mancanze di altri Stati, il Consiglio europeo esercita la propria sovranità ormai solo in circostanze eccezionali. Per il resto, quest’organo è dominato dai giudici. «A fare del Consiglio europeo l’organo legislativo supremo non sono più i governi eletti dai cittadini, bensì giudici che non godono di legittimazione democratica.» Secondo Gujer, il deficit di democrazia dell’Unione europea e il distacco dalla realtà delle istituzioni europee sono in continuo aumento, il che lascia i partiti di protesta nazionalconservatori liberi di prosperare. «Tutto sta diventando sempre più formalista, inerte e, in ultima analisi, arbitrario», scrive il caporedattore. L’UE sa mettere in atto cambiamenti tangibili solo in situazioni di crisi, come la minaccia di default della Grecia o la pandemia di Covid-19. «In questo vuoto si inserisce la Corte di giustizia dell’Unione europea, trasformando i trattati conclusi e modificati dagli Stati nazionali in una sorta di costituzione», critica Gujer. E aggiunge: «La creatività e l’audacia imprenditoriale sono estranee a un’Unione che venera giudici e regolamenti.» Non sorprende che l’UE stia ristagnando, indipendentemente da chi è al potere.

autonomiesuisse si domanda quanto ci vorrà prima che Gujer tragga dalla sua diagnosi spietata anche le giuste misure terapeutiche per la Svizzera. Con la soluzione pacchetto del Consiglio federale la Svizzera finirebbe per sottomettersi completamente alla Corte di giustizia dell’Unione europea e vincolarsi a una UE iperregolamentata e in svantaggio a livello globale. Sarebbe la fine del bilateralismo pacifico, che persegue sempre una situazione reciprocamente vantaggiosa per entrambe le parti. Dopo il primo passo giusto, quando riuscirà Gujer a compiere anche il secondo? E soprattutto: quando il Consiglio federale si accorgerà di procedere nella direzione sbagliata?

17. giugno 2024

La burocrazia dell’UE fa ammalare le aziende e i pazienti

Il contrario di «bene» è «ben intenzionato». E «ben intenzionate» sono molte direttive dell’UE. A sostenerlo non sono gli scettici elvetici dell’UE, bensì il Dott. Daniel Stelter nel podcast tedesco di economia «bto – beyond the obvious – featured by Handelsblatt». Con i fatti dimostra che la situazione economica della Germania e dell’UE è peggiore di quanto i politici vogliano farci credere. Gli sforzi profusi dalle aziende per soddisfare i requisiti statali sono in aumento. Sempre più aziende voltano le spalle alla Germania. Di recente, il colosso della chimica BASF ha deciso di ridurre drasticamente la sua produzione nel Paese. È meno noto che i burocrati dell’UE hanno un impatto devastante anche sulle persone, con conseguenze che possono essere fatali. La colpa è del regolamento sui dispositivi medici, il cosiddetto «Medical Device Regulation» (MDR), entrato in vigore nel 2021. Secondo l’Associazione delle Camere dell’Industria e del Commercio tedesche, la «Deutsche Industrie- und Handelskammer» (DIHK), la direttiva «ben intenzionata» ha più che raddoppiato i costi del processo di autorizzazione dei dispositivi medici. La procedura, inoltre, talvolta richiede il triplo del tempo rispetto a prima dell’entrata in vigore del regolamento. Questo cocktail di veleni burocratici fa lievitare i costi dei dispositivi medici e nega ai pazienti l’accesso a terapie innovative, riducendo le possibilità di guarigione e peggiorando la qualità della vita. Le aziende dell’UE rischiano di perdere il contatto con il mercato mondiale. Che esiste un’alternativa, ce lo dimostrano gli USA: negli ultimi anni hanno accelerato il processo di autorizzazione. C’è da chiedersi se abbia davvero senso che la Svizzera adotti sconsideratamente direttive come la MDR, solo perché il Consiglio federale vuole un accordo quadro 2.0 con l’UE. Quando si sveglierà – finalmente – economiesuisse?

11. giugno 2024

Bruxelles non si lascia sfuggire i suoi spauracchi

«Chi pecora si fa, il lupo se lo mangia.» È quello che sta vivendo adesso la Svizzera. Se cede nei confronti di Bruxelles su tutti i punti, l’UE intensificherà ancora di più il suo gioco di potere. È ovvio che se ne rende conto solo chi ascolta attentamente il Segretario di Stato Alexandre Fasel. Come ha osservato «Weltwoche», davanti a Pro Svizzera si è comportato da gentiluomo educato, «prendendo diligentemente appunti», ma ha sottolineato davanti al Movimento europeo Svizzera (MES) che la Confederazione deve cambiare tono. Ritiene, infatti, che Bruxelles abbia «messo in atto un nuovo gioco di potere». La diligente delegazione negoziale svizzera aveva ipotizzato che, sulla base del Common Understanding, la Svizzera avrebbe potuto nuovamente partecipare ai programmi di ricerca dell’UE a titolo permanente. Stando a Fasel, la controparte non vuole più saperne di questa promessa – secondo il motto: «Cosa me ne importa delle chiacchiere di ieri?» A prescindere dall’esito dei negoziati, l’UE vuole che la Svizzera partecipi nuovamente solo per il 2025, quasi con un periodo di prova, e poi valutare ulteriormente. Del resto, diversamente, finirebbe per esaurire i mezzi di minaccia. O per citare un altro slogan: «Una volta che assaggi il sangue, ne vuoi sempre di più.»

22. maggio 2024

Trattati con l’UE: nuovi fardelli per le aziende, nessuno sgravio

«Gli accordi bilaterali III ci permettono di impostare gli stretti rapporti con il nostro più importante partner economico su una base stabile nel lungo termine», scrive l’associazione mantello dell’economia economiesuisse sul suo sito web. Invece, già l’adozione dinamica del diritto comunitario potrebbe da sola tagliare le gambe alle aziende svizzere. Lo dimostra un’analisi di Beat Kappeler, autore ed ex capo economista dell’Unione sindacale svizzera. Ha trascorso quattro giorni a scervellarsi sui più recenti regolamenti UE – tempo che probabilmente manca alle associazioni e al Parlamento. Altrimenti non darebbero per scontato che la Svizzera possa semplicemente adottare la legislazione comunitaria ed esportare merci nell’UE senza problemi. «La realtà non sarebbe uno sgravio, bensì un peso», ha detto Kappeler: «Le aziende svizzere dovrebbero adottare tutte le regole dell’UE per tutte le loro attività, non solo per le esportazioni». Quando le associazioni economiche e gli esportatori si lamentano delle nuove certificazioni e di altri ostacoli nell’UE, dovrebbero leggere l’intera accozzaglia di regole che l’UE impone alle sue aziende, afferma Kappeler. Sostiene che la gamma di misure di Bruxelles spazi da «un’economia a inquinamento zero» (COM2021 400) alle multe comminate se i clienti ritengono di essere stati danneggiati dall’intelligenza artificiale. Le aziende sarebbero tenute a dimostrare la loro innocenza (COM/2021/206 final, 2021/0106(COD). «Oltre a una burocrazia di controllo pubblica, le aziende sarebbero costrette a dotarsi di burocrazie interne in parallelo», conclude Kappeler. L’UE si accerterebbe rigorosamente che nessun Paese possa vincere la competizione normativa con leggi più snelle. Indirettamente, l’adozione dinamica del diritto comunitario mira quindi a distruggere il modello di successo svizzero. «Le aziende svizzere e il popolo svizzero hanno il diritto di esigere che le associazioni e il Parlamento siano in grado di distinguere tra le norme sull’esportazione e le enormi agevolazioni nazionali per le aziende – e che leggano i testi delle direttive dell’UE». La minaccia rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), a cui il Consiglio federale vuole dare l’ultima parola, diventa evidente solo se si analizzano le innumerevoli norme giuridiche condensate.

07. maggio 2024

L’Europa è alla deriva come polo high-tech?

«Une Europe adaptée à l’ère du numérique» – telle est l’une des priorités de la Commission européenne. Avec le règlement général sur la protection des données (RGPD), l’UE a, en effet, concocté la législation probablement la plus complexe du monde en matière de protection des données. Il n’en reste pas moins que les indices de déperdition du vieux continent en tant que site high-tech s’accumulent, notamment par rapport à l’Asie et aux États-Unis. Dans le cadre de plusieurs études, le prestataire CloudZero a ainsi analysé les sites les plus attractifs pour les spécialistes de la technologie dans l’optique de la numérisation. Globalement parlant, les villes européennes occupent des places intermédiaires ou sont à la traîne. Dans l’étude la plus récente, évaluant les 30 principales villes numériques, Washington, Tokyo, New York, Dallas, Hong Kong, Singapour et Pékin arrivent en tête. Suivies de Zurich, qui rafle la 8e place, comme le rapporte le mensuel «Nebelspalter». Copenhague – première ville[U11]  de l’UE – se classe à la 9e place. CloudZero a évalué l’attractivité du site en se fondant sur des facteurs tels que les postes vacants, les salaires, le nombre d’entreprises technologiques, la vitesse du haut débit et les frais de loyer d’un studio résidentiel à emplacement central. L’un des atouts de la Suisse réside dans son aptitude à former et à attirer les talents. Voilà pourquoi elle s’est hissée sur le podium de l’IMD World Talent Ranking (2023) pour la dixième fois consécutive. Pourtant, autonomiesuisse estime que, pour ne pas perdre le rythme en matière technologique, la Suisse doit s’orienter sur les meilleurs. Les critères de l’UE ne sont pas suffisants.

02. maggio 2024

Migrazione del lavoro: chi ne trae vantaggio?

Treni pieni, strade congestionate, spazio abitativo scarso: gli svizzeri si rendono conto che la popolazione straniera residente è cresciuta di 1,2 milioni di persone da quando, 22 anni fa, è stata introdotta la libera circolazione delle persone (LCP) con l’UE. Per oggettivare il dibattito emotivo, l’Istituto per la politica economica svizzera (IWP) dell’Università di Lucerna ha pubblicato lo studio «Migrazione del lavoro in Svizzera: i risultati più importanti sulla crescita demografica, sul benessere e sullo stato sociale». Lo studio rivela che a beneficiarne è soprattutto la forza lavoro immigrata, ma anche le aziende che assumono e l’economia nazionale. I talenti degli immigrati sono un vantaggio se sono più produttivi della forza lavoro locale o se contribuiscono a renderla più produttiva. Tuttavia, come dimostra un’analisi, questo effetto ha un ruolo piuttosto modesto. Il PIL pro capite svizzero, corretto per l’inflazione, è aumentato del 23% dal 2000. La Svizzera si colloca così nella media europea, che non ha conosciuto un’immigrazione paragonabile. L’immigrazione ha ridotto la carenza di personale specializzato? Assolutamente no. Più persone consumano di più e hanno bisogno di più servizi. Per ogni posto di lavoro in un’azienda orientata alle esportazioni, vengono creati da 0,6 a 1,4 altri posti di lavoro per i nuovi arrivati nell’industria locale. Inoltre, circa il 40% delle persone si trasferisce in Svizzera non per il mercato del lavoro, ma per motivi familiari. Anche il problema del finanziamento dell’AVS può essere alleviato dall’immigrazione solo nel breve termine. Nel lungo termine, la maggior parte delle persone trae dall’AVS più benefici di quanti ne abbia apportati al suo finanziamento. Lo studio lascia aperta la questione se i benefici dell’immigrazione per lo Stato e per la società nel suo complesso superino gli svantaggi, a causa della mancanza di dati. Conclude, tuttavia, sottolineando che il modello di successo svizzero si basa sulla democrazia diretta, sul governo di concordanza, sulla politica monetaria e fiscale disciplinata e sul federalismo. «La forte immigrazione può portare a una perdita di conoscenza e di apprezzamento di queste specificità e del loro coinvolgimento. È, tuttavia, anche ipotizzabile che gli immigrati facciano proprie le peculiarità del sistema svizzero nel corso del tempo.»

25. aprile 2024

autonomiesuisse incontra economiesuisse

All’economia svizzera serve un nuovo pacchetto di misure con l’UE? Per lo «Schaffhauser Nachrichten» Monika Rühl, direttrice di economiesuisse, e Hans-Peter Zehnder, co-presidente di autonomiesuisse e presidente del CdA del Zehnder Group, hanno incrociato le armi. Rühl ritiene che la Svizzera sia costretta ad agire se intende continuare a seguire il percorso bilaterale: «Lo status quo non esiste più perché il nostro partner negoziale non lo vuole più.» Di conseguenza, Rühl dimostra poche ambizioni: «Con tutto l’orgoglio che abbiamo per la Svizzera, siamo i piccoli rispetto ai grandi dell’UE. » Rühl ritiene che la Svizzera debba adottare le regole del gioco comunitarie solo negli specifici ambiti in cui partecipa al mercato interno dell’UE. Zehnder replica: «Se fosse possibile scegliere il menù, non avrei problemi, ma non possiamo farlo. Da parte dell’UE, l'accordo che stiamo negoziando è anche legato all’idea che tutti gli accordi futuri saranno soggetti a queste regole.» Se interpretato in modo estensivo, ogni argomento è rilevante per il mercato interno. In parole povere, oggi non è possibile prevedere in quali ambiti la Svizzera dovrà recepire automaticamente il diritto comunitario in futuro. «Il libero scambio è importante, ma è ancora più importante che noi come aziende siamo migliori degli altri», ribadisce Zehnder. Questo è possibile solo se la Svizzera continua a disporre di condizioni quadro competitive. O come sostiene Zehner: «Non vogliamo (…) essere uniformati sotto tutti i punti di vista.»

08. aprile 2024

Nuove voci da economiesuisse: cosa vale adesso?

Per anni economiesuisse, associazione mantello dell’economia, ha ripetuto il vecchio ritornello secondo cui l’immigrazione sarebbe un presupposto imprescindibile per il benessere. A quanto pare, ciò non vale più senza limitazioni. Così, all’improvviso, su «SRF» si sentono nuove voci dal presidente Christoph Mäder: «Oggi dobbiamo constatare che l’immigrazione è stata mediamente troppo alta negli ultimi anni.» Continua a credere nel mantra secondo cui la Svizzera deve il suo maggiore benessere soprattutto alla libera circolazione delle persone, anche se il progresso della produttività è diminuito. Eppure, facendo autocritica, Mäder segnala un’inversione di tendenza: «Non possiamo più pronunciarci a favore di un’immigrazione illimitata, ma dobbiamo riconoscere che sono necessarie delle misure.» Di tanto in tanto, Mäder è addirittura combattivo: «Se l’UE vuole davvero un nuovo accordo con la Svizzera, deve riconoscere che la percentuale attuale di stranieri rispetto alla popolazione stabilmente residente rappresenta un’enorme sfida», spiega, auspicando una sorta di clausola di salvaguardia. Lo pensa davvero? Se sì, allora autonomiesuisse raccomanda quanto segue: invece di affidarsi al principio della speranza, sarebbe più sensato riconsiderare criticamente l’impegno preso finora – di riflesso – per l’accordo quadro 2.0 con l’UE.

02. aprile 2024

economiesuisse si perde nelle proprie contraddizioni

Cose che hanno dell’incredibile: Andreas Bohrer, capo del servizio giuridico del gruppo Lonza, professore titolare presso l’Università di Zurigo e membro del Comitato di economiesuisse, lamenta l’«eccesso di regolamentazione» dell’Unione europea in merito alle norme di sostenibilità per le imprese. Nel suo articolo si dichiara contrario a «sviluppare ulteriormente le norme secondo la prassi dell’UE» e ricorda che l’economia svizzera opera «su scala globale», ossia non è limitata all’eurozona. Mentre Bohrer preferirebbe evitare «un procedimento legislativo affrettato», i vertici dell’associazione si battono quotidianamente per un accordo quadro con l’UE che imporrebbe alla Svizzera le norme oggetto di controversia e la loro applicazione pedissequa. «L’associazione di categoria economiesuisse sta compiendo un gioco di equilibrismi insostenibile», commenta su «Weltwoche» il redattore economico Beat Gygi. La certezza del diritto che Bohrer auspica «può essere garantita dalla Svizzera – stando alla conclusione logica delle parole di Bohrer – solo tenendosi alla larga dalla produzione legislativa dell’UE e dai suoi giudici», conclude Gygi. Contrariamente all’ipotesi di Gygi, il flusso di regolamentazione è ulteriormente aumentato. Per esempio, gli Stati membri dell’UE hanno recentemente approvato la Direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità (CSDDD) malgrado l’opposizione della Germania. Chiunque segua la produzione legislativa nella torre d’avorio ha avuto una sorta di déjà-vu: già in passato la Germania ha dovuto rinunciare docilmente alla propria opposizione nei confronti della nuova drastica legge UE sulla catena di approvvigionamento. autonomiesuisse fa notare che si tratta di «questioni di mercato interno» cui la Svizzera dovrebbe conformarsi su esortazione della Commissione europea. E se invece non volesse farlo? Chiamarsi fuori sarebbe quasi impossibile, perché in caso di controversia l’ultima parola spetterebbe alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE).

26. marzo 2024

Trasferimento di competenze irreversibile e massiccio a Bruxelles

L’avvocato Dott. Christoph Rohner ha esaminato nei singoli dettagli ogni frase del «Common Understanding» tra la Svizzera e l’UE. Il risultato è preoccupante, come afferma nella sua analisi nella testata «Die Ostschweiz». Da un lato, l’esperto legale osserva che nelle controversie tra la Svizzera e l’UE, ad esempio, rimangono aperte numerose problematiche. Dall’altro, evidenzia quanto sia illusoria l’affermazione del Consiglio federale di aver raggiunto «importanti progressi» con la soluzione pacchetto presentata. Questo perché, tra le altre cose, i numerosi legami istituzionali comprometterebbero l’«approccio settoriale». Rohner giunge alla stessa conclusione di autonomiesuisse: il «Common Understanding» è «vino vecchio in bottiglie nuove». Si può sperare che la Svizzera possa ancora negoziare dei miglioramenti? Rohner fa cenno di no. Ritiene che un accordo basato sul «Common Understanding» comporterebbe trasferimenti di competenze irreversibili a Bruxelles, che «modificherebbero in modo massiccio la struttura costituzionale della Svizzera». Chi sia la parte negoziale più forte si vede dai dettagli: l’UE ha fissato la scadenza per un accordo entro la fine dell’anno. In tal senso, impone che i meccanismi istituzionali vengano applicati anche a tutte le future regole di accesso al mercato. Le eventuali eccezioni all’adozione dinamica dei diritti sono formulate in modo vago e possono cambiare fino alla conclusione del trattato. Anche in merito ai «contributi di coesione da aumentare prima dell’entrata in vigore dell’accordo quadro (…)  la parte contraente più forte dovrebbe dire di cosa (…) è soddisfatta», scrive Rohner. autonomiesuisse conclude: la Svizzera deve stare attenta a non finire così: «solo spese e nient’altro.»

22. marzo 2024

Lettura consigliata: «Die Schweiz ist anders – oder sie ist keine Schweiz mehr» (in tedesco)

Mentre il Consiglio federale ridefinisce il suo accordo quadro con l’UE, in questi giorni è in uscita la seconda edizione del libro «Die Schweiz ist anders – oder sie ist keine Schweiz mehr» («La Svizzera è diversa – o non è più la Svizzera», edito da NZZ Libro/Schwabe-Verlag) dell’ex alto diplomatico Paul Widmer. Entro l’autunno il volume dovrebbe essere pubblicato anche in francese. In oltre seicento pagine Widmer spiega perché la Svizzera è strutturata in modo diverso da tutte le altre nazioni sotto il profilo politico-statale. L’autore non entra direttamente nel merito del dibattito sui negoziati con l’UE, bensì fornisce le nozioni fondamentali per affrontarlo – un aspetto troppo spesso trascurato. Secondo Widmer l’architettura istituzionale della Svizzera poggia su quattro pilastri: la democrazia diretta, il plurilinguismo, il federalismo e la neutralità. Questi pilastri hanno in comune la limitazione della «concentrazione del potere statale». La Svizzera può preservare questo modello di successo soltanto se resta indipendente. Basta già questo per chiarire perché il recepimento dinamico del diritto e la competenza finale della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) saboterebbe la peculiare posizione concorrenziale della Svizzera.

08. marzo 2024

Mandato negoziale: il legame con l’UE indebolisce l’economia svizzera

Il Consiglio federale ha adottato il mandato negoziale con l’UE. Questo accordo quadro 2.0 riunisce diversi accordi in un unico «pacchetto». La Svizzera dovrebbe quindi recepire il diritto comunitario e la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) avrebbe l’ultima parola in caso di controversie.

Secondo autonomiesuisse, il «Common Understanding» del Consiglio federale non costituisce una base per negoziare con l’UE su un piano di parità. Il prezzo dell’aggancio al mercato interno dell’UE è troppo alto per l’economia svizzera. Questo perché la burocratizzazione dell’UE indebolirebbe notevolmente la competitività della Svizzera nel medio termine. Il nostro Paese può mantenere la sua posizione di leader mondiale dell’innovazione solo con condizioni quadro liberali.

Di recente, questa opinione ha ricevuto una spinta da una fonte inaspettata. Helen Budliger Artieda, che è a capo della Segreteria di Stato dell’economia (SECO), ha dichiarato nel talk «Feusi Fédéral» del «Nebelspalter» di essere sempre più preoccupata per la regolamentazione dell’UE. Ritiene che la ricetta del successo della Svizzera risieda nel fatto che lo Stato è costruito dal basso e la regolamentazione si limita alle condizioni quadro. Vede gli sviluppi da Bruxelles come «non favorevoli, perché vogliamo prendere una strada diversa.»

Ad eccezione di Economiesuisse, che è dominata da grandi aziende – i cui manager sono spesso espatriati con impegni a breve termine – l’economia svizzera è scettica riguardo alla mossa affrettata del Consiglio federale. Le medie imprese e le aziende familiari vogliono rafforzare la Svizzera come piazza imprenditoriale. Sono consapevoli che ciò è possibile solo se la Svizzera è in grado di definire le proprie condizioni quadro. Ecco perché non deve legarsi istituzionalmente all’UE, che sta perdendo importanza.

Questo stato d’animo si riflette anche in un sondaggio condotto da «20 Minuten» (aggiornato all’8 marzo 2024). Su quasi 6500 persone, il 69 percento ha dichiarato che i trattati esistenti con l’UE sono sufficienti. Nemmeno un quinto auspica una nuova intesa con l’UE.

autonomiesuisse è convinta che la Svizzera possa mantenere meglio la sua prosperità con i trattati esistenti, anche se in futuro dovessero essere cancellati singoli accordi sul mercato interno. Il più importante per la Svizzera è e rimane l’accordo di libero scambio del 1972, da cui trae vantaggio anche l’UE, in quanto raggiunge regolarmente un surplus commerciale con la Svizzera. autonomiesuisse continuerà ad adoperarsi per una piazza economica svizzera cosmopolita, libera e di successo.

Il co-presidente Prof. Dott. Giorgio Behr, presidente del CdA del BBC Group, presenterà il punto di vista di autonomiesuisse oggi su «10 vor 10», SRF 1, alle 21.50. autonomiesuisse informa, inoltre, i media svizzeri sul punto di vista dell’economia e indipendente e dell’imprenditoria.

07. marzo 2024

Hans-Jörg Bertschi: «Le leggi burocratiche dell’UE comprometterebbero i vantaggi concorrenziali»

Il gruppo Bertschi realizza il 97 percento delle sue attività all’estero. Pochi conoscono i mercati internazionali come Hans-Jörg Bertschi, presidente del CdA di Bertschi e co-presidente di autonomiesuisse. Nel «Somm Show» il caporedattore della rivista «Nebelspalter», Markus Somm, insieme a Hans-Jörg Bertschi, ha esaminato attentamente il mandato negoziale con l’UE del Consiglio federale. «Con il pacchetto di trattati, la Svizzera dovrebbe importare molte leggi burocratiche dell’UE», afferma Bertschi: «Questo ostacola i vantaggi che la nostra economia ha ancora sui mercati a livello globale.»

Anche senza la soluzione pacchetto con l’UE e gli accordi bilaterali, le aziende svizzere traggono vantaggio dall’accordo di libero scambio con l’UE. «Siamo posizionati meglio degli USA, della Cina e di molti altri Paesi. Ma anch’essi operano attivamente all’interno dell’UE, e con molto successo», spiega Bertschi. Il prezzo di un accordo con l’UE sarebbe troppo alto: «Il successo sul mercato delle esportazioni dipende soprattutto dal grado di innovazione dei prodotti, non dai trattati.» Ogni Paese e ogni azienda dovrebbe chiedersi: «Qual è il segreto del mio successo?» L’errore più grande dell’UE, quindi, consiste nell’omologazione.

Bertschi dimostra, citando un esempio, l’impatto che può avere la burocrazia dell’UE. Il gruppo Bertschi ha affiliate in 20 dei 27 stati membri dell’UE. «In Svizzera, una verifica fiscale su un’azienda con 1000 dipendenti dura dai due ai tre giorni. In Germania, un’azienda con 30 collaboratori e collaboratrici si ritrova con tre funzionari all’interno dei propri locali per tre mesi.»

Negli ultimi 15 anni, la Svizzera ha più che raddoppiato i suoi accordi di libero scambio. «Il Consiglio federale deve avere il coraggio di tutelare gli interessi della Svizzera nei confronti dell’Unione europea», ribadisce Bertschi.

16. febbraio 2024

E autonomiesuisse ha proprio ragione!

«Secondo Christa Tobler, autonomiesuisse ha ragione solo per una metà dei punti di critica, e torto per l’altra metà», scrive il settimanale «Handelszeitung» citando la professoressa di diritto Christa Tobler. Il quotidiano «Blick» e altri media hanno messo in circolazione questa interpretazione errata.

Un motivo sufficiente per spingere autonomiesuisse a svolgere un altro fact-checking approfondito. Ed ecco che autonomiesuisse ha ragione su tutti i punti. Ad esempio, secondo quanto riportato dai media, Christa Tobler sostiene che «autonomiesuisse starebbe avanzando una supposizione falsa». Il pacchetto di trattati da negoziare con l’UE non dovrebbe essere sottoposto al referendum sui trattati internazionali.

È di parere diametralmente opposto l’ex presidente della Corte di giustizia dell’AELS, il Prof. Dott. Carl Baudenbacher, probabilmente il miglior esperto di diritto comunitario in tutta la Svizzera. Egli ritiene che la situazione giuridica sia «assolutamente chiara». Un accordo che interferirebbe così profondamente nelle strutture della Svizzera dovrebbe richiedere una doppia maggioranza, quella del popolo e quella dei cantoni. L’«accordo quadro 2.0», infatti, andrebbe ben oltre l’adesione a una comunità sovranazionale. In una simile comunità, la Svizzera sarebbe soggetta ai propri organi e avrebbe voce in capitolo in seno agli stessi. Con l’accordo quadro 2.0, invece, sarebbe assoggettata agli organi di parte della controparte, ovvero la Commissione UE e la CGUE. Come sostiene Baudenbacher, ciò costituirebbe una «satellizzazione» che andrebbe ben oltre quanto esplicitamente stabilito dalla Costituzione.

La stessa opinione è stata espressa dall’ex professore di storia di Oxford Oliver Zimmer: «Sul piano della politica statale e democratica, la maggioranza dei cantoni è imprescindibile nel prossimo referendum sul trattato istituzionale con l’UE (accordo quadro 2.0).» Persino la nota eurofila Elisabeth Schneider-Schneiter, consigliera nazionale dell’Alleanza del Centro di Basilea, ammette apertamente su X di essere favorevole al referendum obbligatorio con la maggioranza del popolo e dei cantoni.

Gli altri punti di critica sono ugualmente infondati. Vale la pena leggere il comunicato stampa diffuso da autonomiesuisse.

14. febbraio 2024

Giorgio Behr: «Oggi nessuno di noi voterebbe a favore del SEE»

«Nel 1992, molti imprenditori, tra cui il sottoscritto, erano favorevoli all’adesione al SEE da parte della Svizzera», afferma Giorgio Behr, imprenditore e co-presidente di autonomiesuisse, in un’intervista rilasciata allo «Schaffhauser Nachrichten». Oggi non lo sarebbe più nessuno. Negli ultimi 30 anni, infatti, l’UE è cambiata radicalmente. Se la Svizzera facesse parte del SEE, dovrebbe sborsare somme esorbitanti e non avrebbe praticamente più spazio di manovra. Ma è proprio di questo che un Paese ha bisogno, per crearsi delle buone condizioni quadro. 

La Svizzera, invece, non necessita del pacchetto di trattati che il Consiglio federale ha intenzione di concludere con l’UE – Behr ne è convinto. L’accordo di libero scambio garantisce l’accesso al mercato interno dell’UE fin dal 1972.  Inoltre, la crescita non si sta verificando nell’UE. «Gli USA hanno da tempo sostituito la Germania come il più importante partner commerciale della Svizzera. Dovremmo orientarci maggiormente verso i mercati al di fuori dell’Europa. Tra questi figurano anche l’India e l’America Latina», spiega Behr. Ritiene che l’alto livello di prosperità della Svizzera non dipenda dagli accordi con l’UE, ma dal fatto che la Svizzera è più innovativa degli stati dell’UE. Non da ultimo, Paesi come gli USA, la Cina e l’India sono in prima linea. Hanno un grande successo nel mercato interno dell’UE – senza il «libero» accesso.

In seguito al legame istituzionale con l’UE, in Svizzera aumenterebbero notevolmente gli adempimenti legislativi. «Solo il diritto societario tedesco è circa dieci volte più dettagliato e complicato di quello svizzero», sostiene Behr. Questo comporterebbe solo burocrazia e costi elevati.

Allora perché Economiesuisse spinge per la conclusione dell’accordo? Behr distingue tra la visione imprenditoriale di autonomiesuisse e quella dei dirigenti dei gruppi aziendali, che spesso, in Svizzera, non hanno diritto di voto e cambiano regolarmente azienda. «Noi imprenditori pensiamo in termini di generazioni e quindi con un approccio duraturo», ribadisce Behr. Che Economiesuisse agisce con poca credibilità, è evidente per lui anche in un altro caso: inizialmente, l’associazione esercitava un’enorme pressione sulla riforma fiscale dell’OCSE. Adesso è tra i primi a frenare.

Behr esorta il Consiglio federale a dimostrare finalmente un po’ di polso. È inaccettabile che la Svizzera, ad esempio, adempia doverosamente a tutti i suoi obblighi nel trasporto terrestre, mentre la Germania e l’Italia rimangono indietro. Ritiene, inoltre, che il miliardo di coesione sia denaro speso «senza un controvalore. Questo è stato un passo ingenuo.»

12. febbraio 2024

Ex professore di Oxford: «L’élite svizzera ha grandi lacune sul piano dell’educazione civica»

Federalismo, democrazia semidiretta, Stato dei cittadini e consapevolezza della concorrenza: è questo a rendere speciale la Svizzera. Ma è proprio questo cemento sociale che si sta sgretolando nel Paese – afferma l’ex professore di storia di Oxford Oliver Zimmer in un’intervista all’«NZZ». Sembra che siano finiti i tempi in cui l’elettorato respingeva l’iniziativa «6 settimane di ferie per tutti» (2012), riconoscendo le spese aggiuntive che si sarebbero dovute sostenere.

Il problema di fondo è che le élite hanno dimenticato a quali fattori la Svizzera deve il suo successo, come sostiene il Research Director dell’istituto di ricerca Crema di Zurigo: «Non si riconosce più che la nostra flessibilità ha portato a condizioni quadro spesso migliori di quelle dell’UE. In Svizzera c’è concorrenza fiscale, nell’UE domina la cultura delle sovvenzioni», afferma Zimmer. E lo sorprende ancora più il fatto che non ci sia più resistenza da parte del mondo economico. Inoltre, è molto severo nei confronti dell’élite politica, nella quale ravvisa «grandi lacune» sul piano dell’educazione civica e della storia. Ad esempio, per quanto riguarda l’accordo istituzionale con l’UE, il Parlamento dovrebbe ora «discutere seriamente i limiti del suo potere e i suoi obblighi nei confronti di chi rappresenta».

E se la classe politica riuscisse a far firmare e sigillare l’accordo con l’UE? Per Zimmer è evidente: «Ciò comporterebbe una notevole perdita di sovranità e un’ulteriore erosione del contratto sociale». L’adozione automatica dei diritti relativamente alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) non sarebbe compatibile con le istituzioni svizzere. La Svizzera perderebbe la sua flessibilità. E ovviamente punterebbe ad aderire all’UE.

«Se la Svizzera votasse in modo diverso da quanto auspicato dall’UE, Bruxelles – con l’appoggio del Parlamento svizzero – eserciterebbe una pressione ancora maggiore». Quali soluzioni praticabili intravede Zimmer? Da un lato, sarebbe compito della classe politica spiegare alle persone immigrate i punti di forza della collettività svizzera, invece di trascurarli a propria volta. Dall’altro, ritiene che un modello democratizzato come quello di Singapore sia un’alternativa al centrismo dell’UE. «Se si parla di cosmopolitismo, allora per favore siamo coerenti. Si scelgano le persone migliori a livello mondiale e si controlli autonomamente l’immigrazione, a prescindere dal passaporto di chi la richiede.»

26. gennaio 2024

L’esperto di diritto costituzionale Andreas Glaser: il Parlamento, il popolo e i cantoni perdono peso!

L’accordo in programma con l’UE è più di un semplice «bilaterale III». «Va ben oltre quanto in vigore oggi. Ho l’impressione che non tutti si rendano conto della portata istituzionale dell’accordo», ha dichiarato all’«NZZ» Andreas Glaser, professore di diritto costituzionale, amministrativo ed europeo con particolare attenzione alle questioni legate alla democrazia presso l’Università di Zurigo. L’adozione dinamica dei diritti e la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) «porterebbero il rapporto della Svizzera con l’UE a un livello completamente diverso». In molti casi, il Parlamento non avrebbe «altra scelta se non quella di adottare emendamenti al diritto comunitario e di recepirli a livello nazionale». Lo stesso dicasi per l’accordo di Schengen.

Nel complesso, secondo Glaser, il Parlamento, l’elettorato, i cantoni e il Tribunale federale perderebbero importanza. Conosce il diritto comunitario esattamente quanto il diritto svizzero: nato in Germania, ha frequentato l’Università e si è abilitato in questo Paese. Come osserva Glaser, il Parlamento si rifiuta già oggi di attuare iniziative popolari – come quella sulle Alpi e quella contro l’immigrazione di massa – se comportano per la Svizzera il rischio di violare gli accordi bilaterali. «L’accordo con l’UE estenderebbe semplicemente il primato del diritto bilaterale ad altre aree», evidenzia Glaser.

Nel caso di alcuni referendum, il popolo potrebbe dire di no. «Tuttavia, una decisione completamente libera sarebbe difficilmente possibile, poiché un no comporterebbe la minaccia di sanzioni, che non sarebbero note in anticipo», spiega Glaser. In merito a determinate controversie, l’esperto di democrazia è certo che i giuristi dell’UE classificherebbero la prassi del Tribunale federale come contraria al diritto comunitario. Casi del genere potrebbero aumentare rapidamente. «Sarà decisivo capire quali sono gli interessi della Commissione UE e se la stessa ritiene sia vantaggioso prodigarsi per la Svizzera», commenta Glaser.

autonomiesuisse aggiunge: anziché dare alla nostra economia e alla nostra società l’auspicata certezza del diritto nei rapporti con l’UE, l’accordo le sottopone all’arbitrio politico della Commissione UE.

12. gennaio 2024

L’ex presidente della Corte dell’EFTA straccia l’accordo quadro 2.0

«Il progetto dell’accordo quadro era fondato sin dall’inizio su stronzate», scrive su «insideparadeplatz.ch» il Prof. Dr. iur. Dr. rer. pol. h.c. Carl Baudenbacher, ex presidente della Corte dell’EFTA. Il modo in cui intende il termine esplicito «stronzate» rispecchia la definizione coniata dal professore di filosofia statunitense Harry G. Frankfurt: «Discorsi che vogliono persuadere senza tener conto della verità». È proprio così che esponenti del DFAE, della Conferenza dei Cantoni, dell’economia delle esportazioni e delle università vogliono ottenere l’approvazione di un accordo quadro 2.0 con la UE, possibilmente evitando il confronto con l’elettorato.

Già il 21 gennaio 2022 il consigliere federale Ignazio Cassis aveva promesso solennemente che non ci sarebbe stato alcun accordo quadro 2.0. Eppure, come chiarisce Baudenbacher, gli elementi istituzionali determinanti – adozione dinamica dei diritti, monitoraggio e composizione delle controversie – contenuti nella bozza di mandato negoziale sono «praticamente identici» a quelli dell’accordo quadro affossato. Ed esistono «forti dubbi» che si avveri la speranza di affrancarsi dal monopolio dell’interpretazione, per esempio in merito alla protezione dei salari o alla direttiva sulla libera circolazione dei cittadini. Per la popolazione svizzera tutto questo significa «solo spese e nient’altro».

Contrariamente alle rassicurazioni ufficiali, la Svizzera non ha ottenuto alcun miglioramento nemmeno per quanto riguarda il «tribunale arbitrale» proforma, il quale è solamente una «copertura», poiché ha l’obbligo di ricorrere alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) non appena «entra in gioco» il diritto della UE, spiega Baudenbacher. La Commissione e la CGUE sono istituzioni della UE. «In nessun’altra parte del diritto internazionale esiste una situazione tra due partner paritari in cui uno è sottoposto alla vigilanza e alla giurisdizione delle istituzioni dell’altro.» Baudenbacher critica inoltre ciò di cui il Consiglio federale non parla, ossia il fatto che il Tribunale federale sarebbe escluso dalla procedura di composizione delle controversie. «Nessuna corte suprema dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo viene trattata così male», scrive Baudenbacher.

Il modello del «tribunale arbitrale» e della CGUE è stato escogitato dalla UE per Ucraina, Moldavia, Georgia e Armenia, ossia stati fortemente dipendenti dalle finanze della UE. A differenza della Svizzera, che invece dovrebbe versare esorbitanti contributi di coesione. Occorre la maggioranza dei Cantoni per votare sull’accordo quadro? Recentemente si è diffusa l’idea che la questione sia controversa, ma Baudenbacher spiega che la Costituzione federale parla chiaro: la maggioranza dei Cantoni è necessaria.

Se l’accordo quadro 2.0 verrà firmato, la Svizzera dovrà cedere irreversibilmente gran parte della propria sovranità alla UE. Alla luce di queste implicazioni autonomiesuisse invoca il «fair play» da parte del Governo federale, della politica, delle istituzioni e dei gruppi di interesse. Come movimento dell’imprenditoria, si appella anche ai dirigenti dei gruppi aziendali esteri affinché si confrontino con la democrazia diretta e il federalismo della Svizzera. Troppo spesso godiamo dei frutti del modello di successo svizzero ma ci dimentichiamo delle sue radici.

08. gennaio 2024

Serve una correzione di rotta: i miglioramenti necessari per il mandato negoziale con l’UE

Leggendo i documenti del Consiglio federale sul mandato negoziale con l’UE si avrà come un déjà-vu. Vi si ritrovano infatti quasi tutti gli elementi dell’accordo quadro che è stato respinto – anche le regole istituzionali: la Svizzera dovrebbe dunque recepire automaticamente il diritto comunitario senza disporre di un equo opting-out, dovrebbe accettare il diritto della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) di impartire istruzioni per il tribunale arbitrale e mandare giù la clausola ghigliottina per gli accordi bilaterali I. In tutto questo, il Consiglio federale non mira a ottenere alcun miglioramento nei negoziati. Se ciò dovesse rimanere così anche dopo la consultazione, c’è da attendersi un trattato che corrisponderebbe a un accordo quadro 2.0.

autonomiesuisse esorta il Consiglio federale a giocare bene le carte del nostro Paese. L’UE esporta in Svizzera decisamente più che non viceversa; la Svizzera offre un posto di lavoro a oltre 1,5 milioni di cittadini e cittadine UE e, nelle due migliori università dell’Europa continentale, forma anche numerosi studenti e studentesse provenienti dall’Unione europea. Il mandato negoziale necessita perlomeno ancora delle seguenti correzioni:

• La libera circolazione delle persone ovvero la direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE deve essere esclusa dall’adozione dinamica dei diritti.

• Il tribunale arbitrale deve poter decidere liberamente, senza il diritto vincolante di impartire istruzioni della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE).

• L’accordo di libero scambio deve essere espressamente escluso dalle regole istituzionali.

• Il nuovo accordo deve contenere un’esplicita ed equa clausola di risoluzione.

Inoltre, l’accordo negoziato deve essere sottoposto a un referendum sui trattati internazionali. Se in fondo l’intento dell’UE è quello di far aderire la Svizzera all’UE, il fallimento è inevitabile. La maggior parte della popolazione svizzera non vuole aderire all’UE, neanche in maniera latente. Se non riesce a convincere l’UE a rivedere i punti chiave, il Consiglio federale deve avere il coraggio di interrompere i negoziati. Rimane interessante la possibilità di aggiornare integralmente l’accordo di libero scambio con l’UE. Il Regno Unito ha concluso con l’UE proprio un accordo di questo tipo. E una nuova proiezione del Centre for Economics and Business Research (CEBR) prevede per il Regno Unito una crescita economica decisamente più rapida rispetto ai grandi Paesi dell’UE.

Per spingere il Consiglio federale a correggere la rotta, autonomiesuisse ha redatto un documento di posizione e si è rivolta ai media svizzeri.

03. gennaio 2024

Quanto vale per noi la libertà?

Per il nuovo anno, il Consiglio federale mette il vino vecchio in bottiglie nuove: la sua bozza dei negoziati con l’UE del 15 dicembre 2023 si profila come un «accordo quadro 2.0». Invece di valorizzare i punti di forza della Svizzera, il Consiglio federale si sta allineando all’UE in tutti i sensi. Acconsente a che la Svizzera debba recepire automaticamente il diritto comunitario – senza disporre di un equo opting-out, accetta «giudici estranei» e sopporta una «clausola ghigliottina». Persegue attivamente solo il miglioramento della protezione dei salari e della normativa sulle spese. 

Paul Widmer, diplomatico di lungo corso e rappresentante della Svizzera presso il Consiglio d’Europa, spiega nel settimanale «NZZ am Sonntag», perché la Svizzera, con la democrazia diretta e il federalismo, «semplicemente non è compatibile con gli obiettivi dell’UE in termini di funzionamento dello Stato»: «È costruita dal basso verso l’alto, mentre l’UE è costituita dall’alto verso il basso.» Widmer osserva, inoltre, due sviluppi negativi nell’UE: un chiaro scostamento da una politica di mercato liberale a favore di un mercato interno eccessivamente regolamentato e una perdita progressiva di democrazia nei singoli Stati. 

In Svizzera, da generazioni, si dà priorità alla libertà politica dei cittadini e non al potere dello Stato. autonomiesuisse concorda pertanto con Paul Widmer: forse in futuro saremo ancora costretti a pagare un prezzo per la nostra libertà. I vantaggi del modello liberale di successo svizzero sono di gran lunga superiori a qualsiasi onere aggiuntivo minore imposto dall’UE. Non dobbiamo sacrificare i punti di forza della Svizzera, apprezzati a livello mondiale, per le leggi di Bruxelles. È molto più importante affrontare abilmente e a mente fredda le provocazioni dell’UE. 

autonomiesuisse chiederà alle Commissioni della politica estera del Consiglio nazionale e del Consiglio degli Stati di integrare le sue principali istanze nel mandato negoziale del Consiglio federale. In caso contrario, i negoziati si dovranno concludere rapidamente. Con la sua ambiziosa soluzione pacchetto, infatti, l’UE riceverà esattamente il «pacchetto auspicato». A seconda del risultato dei negoziati, ci organizzeremo anche per una votazione popolare l’anno prossimo.

15. dicembre 2023

La soluzione pacchetto con l’UE non va acquistata a un prezzo troppo alto

Il Consiglio federale ha adottato il mandato per i negoziati con l’UE in modo sorprendentemente rapido. Adesso, la sua priorità assoluta dev’essere garantire il futuro del modello di successo svizzero. Se la Svizzera è il Paese più innovativo e globalizzato del mondo lo deve, tra le altre cose, alla democrazia diretta, al federalismo e alle condizioni quadro liberali. Un legame istituzionale troppo stretto con l’UE comprometterebbe i vantaggi economici, che l’accesso al suo mercato interno non potrebbe compensare. In generale, il successo delle esportazioni svizzere è legato meno agli accordi e più alla nostra competitività. Nonostante i progressi compiuti, nei nuovi negoziati con l’UE, nella stanza c’è ancora l’«elefante». Con l’adozione dinamica dei diritti, la Svizzera si impegnerebbe a recepire le leggi di Bruxelles senza riflettere. Per non sabotare il modello di successo svizzero, sono fondamentali i seguenti punti:

1. Se le decisioni del Parlamento e le votazioni popolari svizzere sono in contrasto con le disposizioni di Bruxelles, si deve poter ricorrere a un equo «opting out». Non sono accettabili le risoluzioni dei trattati o addirittura le «clausole ghigliottina».

2. Se emergono opinioni divergenti in merito ai trattati, è necessario un tribunale arbitrale indipendente. La Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) non può disporre del diritto vincolante di impartire istruzioni.

3. Le autorità svizzere non devono essere sottoposte alla vigilanza della Commissione europea.

4. In quanto Paese di immigrazione, la Svizzera deve poter regolare la libera circolazione delle persone in caso di forte immigrazione, preferibilmente con misure basate sull’economia di mercato.

Tuttavia, condurre negoziati su un piano di parità significa anche poter lasciare il tavolo. È proprio questo il coraggio a cui il Consiglio federale deve ricorrere se non riesce a convincere l’UE a rivedere i punti chiave. In questo caso, rimane interessante la possibilità di aggiornare l’accordo di libero scambio con l’UE. Anche il Regno Unito è riuscito a raggiungere una soluzione di questo tipo con l’UE.

autonomiesuisse ha pubblicato un comunicato stampa sui piani del Consiglio federale e prenderà una posizione ferma sul mandato negoziale.

09. novembre 2023

La Svizzera ha bisogno di obiettivi chiari per i negoziati

Per un anno e mezzo la Svizzera e l’UE hanno provato a capire come procedere dopo il fallimento dell’accordo quadro. Ora il Consiglio federale ha deciso di elaborare un mandato negoziale con l’UE. autonomiesuisse accoglie favorevolmente questa decisione – e in particolare i progressi nei colloqui esplorativi. Questi ultimi dimostrano quanto sia importante il lavoro di autonomiesuisse. Se il Consiglio federale intende procedere ai negoziati con l’UE, deve innanzitutto definire degli obiettivi chiari, costituire un team di negoziazione professionale e, rispetto ai risultati dei colloqui esplorativi, conseguire nuovamente miglioramenti significativi. La principale priorità non deve essere un’intesa con l’UE, bensì la garanzia di buone condizioni quadro per la Svizzera. Un allineamento al livello dell’UE metterebbe a repentaglio l’intera industria svizzera e, di conseguenza, numerosi posti di lavoro.

autonomiesuisse sostiene gli sforzi del Consiglio federale purché nel lungo termine la Svizzera possa rimanere libera e aperta al mondo sotto il profilo economico e sociopolitico. Nel nuovo mandato negoziale il Consiglio federale deve stabilire chiari obiettivi negoziali e un’adeguata organizzazione delle trattative. autonomiesuisse auspica che per questioni così fondamentali si possano conseguire nuovamente miglioramenti significativi. Ad avere la priorità sono aspetti come la tutela dei diritti popolari, un tribunale arbitrale equo (ruolo della Corte di giustizia dell’Unione europea) e una clausola di salvaguardia per la libera circolazione delle persone nell’UE.

04. ottobre 2023

Gli europarlamentari auspicano un’intesa con la Svizzera

Dopo due anni e mezzo, l’europarlamentare Lukas Mandl ha presentato il suo rapporto sulla Svizzera, redatto secondo il principio del «bastone e della carota» con una predominanza di quest’ultimo. Tuttavia, alcuni parlamentari si sono schierati a favore della Svizzera, ribadendo che si trova al centro dell’Europa e condivide i valori fondamentali dell’UE, come riporta il quotidiano «NZZ». Hanno espresso l’auspicio che, a prescindere dall’esito dei colloqui esplorativi in corso, la Svizzera venga reintegrata come membro pienamente associato ai programmi UE «Horizon» ed «Erasmus». Il vantaggio sarebbe per entrambe le parti.

autonomiesuisse esprime la seguente considerazione: i voti dimostrano che le continue provocazioni della Commissione UE nei confronti della Svizzera non riflettono il sentimento dei Paesi membri. Con sempre maggiore frequenza, gli europarlamentari si rendono conto che escludere dalla ricerca la Svizzera, campione mondiale dell’innovazione, danneggia in primo luogo l’UE. E anche rifiutandosi di rinnovare l’accordo sul Regolamento dei dispositivi medici (MDR) con la Svizzera, l’UE si dà la zappa sui piedi.

È quindi ancora più importante che la Svizzera non si lasci irritare dai battibecchi con l’UE. Nei negoziati in programma, non deve cedere sulle questioni fondamentali per il popolo svizzero e il suo benessere. Ad esempio, bisogna ribadire la necessità di un equo opting-out nelle votazioni popolari, un tribunale arbitrale indipendente per risolvere le controversie, mantenere l’attuale accordo di libero scambio e garantire la protezione dei salari.

05. settembre 2023

Le associazioni medtech tedesche esigono un accordo con la Svizzera

In Germania scarseggiano i test di laboratorio, i cateteri cardiaci e altri prodotti medtech. Come riferisce «Cash», infatti, due associazioni di categoria medtech tedesche adesso lanciano l’allarme. Sembra che la penuria sia causata dai nuovi regolamenti UE.  In un documento programmatico, le associazioni auspicano, tra le altre cose, l’aggiornamento dell’accordo sul Regolamento dei dispositivi medici (MDR) con la Svizzera. Questa normativa dell’UE, così come il Regolamento sulla diagnostica in vitro (IVDR), richiede che i prodotti medtech e i test di laboratorio ottengano una certificazione UE specifica prima di poter accedere al mercato comunitario. Questo vale non solo per i nuovi prodotti, ma anche per quelli «vecchi». Ma quello che l’UE aveva concepito come accanimento nei confronti delle imprese svizzere si sta rivelando un boomerang per le imprese dell’UE, che stanno già visibilmente soffrendo per la recessione economica. Già un anno fa, l’Associazione tedesca per la tecnologia medica (BVMed) e la sua controparte francese SNITEM avevano denunciato abusi. Ora, ad esempio, l’eurodeputata Angelika Niebler e l’europarlamentare Peter Liese si sono schierati a favore della BVMed e dell’Associazione dell’industria diagnostica (VDGH). Entrambi criticano i regolamenti UE, definendoli «mal fatti, troppo complicati e burocratici». Osservano, inoltre, che molte aziende nel frattempo danno la priorità all’approvazione dei loro prodotti negli Stati Uniti piuttosto che nell’UE. Le associazioni si preoccupano quindi della competitività del settore medtech europeo. Anche le aziende medtech e di diagnostica in vitro svizzere risentono delle difficoltà presso gli organismi di certificazione dell’UE. Essendo state tormentate già da tempo, però, si sono attivate prima – e quasi tutte sono già in possesso dei loro certificati.

02. settembre 2023

Il Parlamento europeo impone una tariffa alla Svizzera

Eppure, l’UE non si sta muovendo. Non è disposta a discostarsi dalle regole «istituzionali» dell’accordo quadro negoziato con la Svizzera. Questo è quanto ha chiaramente affermato l’europarlamentare austriaco incaricato Lukas Mandl, membro del Partito Popolare Europeo, a «SRF»: Se la Svizzera desidera un pacchetto di accordi diversi al posto dell’accordo quadro, alla fine si dovranno applicare le stesse regole istituzionali in ogni accordo. E in assenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) non si potrà fare nulla. Il suo riconoscimento rimane un prerequisito per tutto il resto, il che sarebbe giustificato «dalla storia»: «Tutto ciò deve essere in linea con il riconoscimento della Corte di giustizia dell’Unione europea, che rende possibile il mercato interno», dichiara Mandl. A parte questo, l’UE intende far decadere il mandato negoziale dopo cinque anni se la Svizzera non fa un passo avanti. autonomiesuisse si chiede: Se parlano così i rappresentanti dell’UE, che la «SRF» ritiene siano «solidali» nei confronti della Svizzera, quali saranno le richieste di chi ha meno tatto? L’ex giudice della Corte di giustizia dell’AELS in Lussemburgo, il Prof. Dr. iur. et Dr. rer. pol. h. c. Carl Baudenbacher, commenta così su LinkedIn: «Che un politico dell’UE sia solidale con la Svizzera o addirittura amico della Svizzera non dipende da qualche dichiarazione, ma dai fatti. Se poi si sostiene in termini corposi che la subordinazione di uno Stato non membro dell’UE alla giurisdizione della CGUE è giustificata dalla storia, allora bisognerebbe innanzitutto affrontare la storia dei trattati iniqui, la cui caratteristica principale è appunto di essere tribunali extraterritoriali. Nel caso della Cina, non è finita bene.» Inghilterra e Francia hanno di fatto trasformato la Cina in una sorta di colonia per incrementare i loro bilanci commerciali. Questa mortificazione continua ad avere effetti ancora oggi.

28. agosto 2023

L’auto-legittimazione dell’UE: un pericolo sottovalutato!

Nel suo nuovo libro «Wenn alles reisst – hält die Schweiz?» (Se tutto si lacera, la Svizzera resiste?) l’economista e scrittore Beat Kappeler paragona la Svizzera a un orologio. Questo orologio ha funzionato per decenni con altissima precisione, ma ora ha bisogno di essere regolato. Ad esempio, Kappeler critica l’amministrazione per essersi riempita di ordinanze contro le quali non c’è un referendum. Questa burocrazia costringe ogni azienda a gonfiare la propria amministrazione. L’ex segretario dell’Unione sindacale svizzera vede, comunque, la Svizzera in una posizione migliore rispetto all’UE. Ecco il motivo: il potere è distribuito meglio e in modo più federale tra parlamento, governo e popolo. Kappeler sfata, pertanto, il mito secondo cui la Svizzera sarebbe stata una nazione di contadini rozzi. Dimostra che, anche prima del Giuramento del Rütli, i cantoni originari erano integrati nelle catene di fornitura del continente e avevano un orientamento di mercato «internazionale». Ritiene questo sia un motivo in più per esortare la politica a essere più sicura di sé nel rispondere alle richieste dell’UE. Staremmo sottovalutando la dinamica di auto-legittimazione delle autorità dell’UE. Quindi, a partire dal 1963, la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) e le commissioni si sarebbero sempre più attribuite competenze al di sopra delle norme nazionali – e mai decise dagli Stati membri.

Tali auto-legittimazioni, secondo il teorico dei sistemi Niklas Luhmann, si chiamerebbero «autopoiesi». E porterebbero a una crescente centralizzazione dell’UE. «Ma non sono legittimate dal punto di vista legale, contrattuale o democratico», denuncia Kappeler. Di questa mancanza di democrazia si occupa anche il Prof. Dr. iur. et Dr. rer. pol. h. c. Carl Baudenbacher nel libro «Das Schweizer EU-Komplott» (Il complotto svizzero dell’UE) del 2019. Descrive, ad esempio, come la Repubblica Ceca, la Danimarca, l’Irlanda, la Polonia, il Portogallo e il Regno Unito abbiano annullato, di punto in bianco, le votazioni popolari previste in merito al Trattato per l’istituzione di una Costituzione europea, dopo i risultati negativi nei Paesi Bassi e in Francia. Perché la Svizzera, una delle più antiche democrazie del mondo, si comporta in modo così remissivo nei confronti dell’UE nonostante questi fatti? Per Baudenbacher è evidente: una cerchia di politici e ufficiali sta segretamente tentando di far entrare la Svizzera nell’UE.

17. agosto 2023

Più cosmopolitismo invece del provincialismo dell’UE!

Dal 1992, la Svizzera ha una sua semplice definizione di «cosmopolita». Sono considerati cosmopoliti solo gli affabulatori dell’UE, che vogliono adottare ogni regolamento dell’«Europa», ovvero dell’UE, solerti nel servizio. Olivier Zimmer, ex professore di storia alla University of Oxford e oggi ricercatore presso il Center for Research in Economics, Management and the Arts (Crema), critica questa ristrettezza mentale sulle pagine del «Neue Zürcher Zeitung». Trova particolarmente preoccupante il fatto che il «provincialismo cosmopolita» non rappresenti solo un concetto virtuoso, ma sia addirittura una prassi nel mercato del lavoro svizzero.

«È quindi un segreto manifesto che numerose aziende svizzere – con il sostegno attivo delle nostre autorità – stanno di fatto mettendo in atto una discriminazione positiva a favore dei cittadini dell’UE. Si suppone che i candidati di talento che non hanno un passaporto dell’UE vengano immediatamente scartati da molti reparti delle risorse umane (…)», scrive Zimmer e si chiede: «Perché è così facile per il nostro establishment politico ed economico diffondere un tale sistema, da cui trae vantaggio economico soprattutto la Svizzera?» Tanto più che i dati economici del Fondo Monetario Internazionale (IMF) non depongono a favore dell’UE: quindici anni fa, il PIL dell’Eurozona era solo marginalmente inferiore a quello degli USA; oggi il PIL degli USA è di 25 bilioni, mentre quello dell’UE è di 15 bilioni.

Un Paese cosmopolita al centro dell’Europa non avrebbe quindi grandi opportunità? «La Svizzera avrebbe la possibilità di controllare autonomamente la propria politica del mercato del lavoro oltre a quella migratoria», è convinto Zimmer. Potrebbe così assumere le persone migliori a prescindere dal passaporto, invece di ballare al ritmo del regime dell’UE. Canada e Australia stanno già attuando politiche di immigrazione simili. In Svizzera, la Confederazione potrebbe definire le regole di base del gioco. Il ruolo decisivo, tuttavia, dovrebbe essere svolto dai datori di lavoro congiuntamente ai Cantoni. Anche uno sguardo alla storia della Svizzera è fonte di ispirazione: intorno al 1870, la Svizzera liberale e democratica produceva tre quarti di tutti gli orologi esportati nel mondo. Zimmer conclude affermando che, se la Svizzera avesse già agito secondo il motto «Non bisogna tirarsi indietro!» avrebbe perso i suoi mezzi di sostentamento.

03. luglio 2023

Ricerca: nessun ricercatore lascia la Svizzera perché non fa più parte di Horizon

Un anno fa, i media svizzeri e il settimanale «NZZ» hanno pubblicato titoli di panico: «La Svizzera rimane indietro» e «Il ruolo di polo scientifico della svizzera viene compromesso a vista d’occhio». Sembrava che l’esclusione della Svizzera dal programma di ricerca Horizon Europe avrebbe comportato un «grounding» scientifico. Daniel Wahl, esperto di formazione della rivista «Nebelspalter», ha analizzato la situazione nel dettaglio. Sta di fatto che, la Svizzera è esclusa «solo da un’esigua parte» di Horizon Europe. I nostri ricercatori e le nostre ricercatrici possono partecipare al 66% dei bandi in relazione al budget. Inoltre, la Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione può finanziare direttamente i programmi di ricerca che l’UE non vuole più cofinanziare – invece di inviare i fondi prima a Bruxelles.

E per quanto riguarda le borse di studio di eccellenza del Consiglio europeo della ricerca concesse ai ricercatori e alle ricercatrici della Svizzera? I media si preoccupavano per i 28 ricercatori e ricercatrici di alto livello che ne avrebbero beneficiato. Tanto più che l’UE ha voluto esplicitamente accaparrarsi queste speranze. La rivista «Nebelspalter» ha seguito tutte queste personalità:

– 24 ricercatori e ricercatrici lavorano ancora in Svizzera.

– 2 ricercatori e ricercatrici lavorano presso prestigiose università statunitensi non associate a Horizon Europe.

– 2 ricercatori e ricercatrici sono effettivamente emigrati nell’UE, ma non nell’ambito di Horizon Europe. Taro Kitazawa, da Ginevra, si è trasferito in Danimarca perché lì l’università ha più fondi per la sua specializzazione. Martina Mengoni, ricercatrice dell’operato di Primo Levi, è tornata nella sua Italia, in un istituto dedicato esclusivamente a Primo Levi: il Centro Internazionale di Studi Primo Levi di Torino.

21. giugno 2023

I tre punti su cui la Svizzera non deve cedere

Oggi il Consiglio federale ha discusso i suoi punti chiave per i negoziati con l’UE. Bruxelles e Berna avrebbero raggiunto un accordo sulla libera circolazione delle persone (immigrazione e protezione dei salari). autonomiesuisse fa appello al Consiglio federale affinché renda noti i chiarimenti conseguiti. La sua priorità non dovrebbe essere un’intesa con l’UE, bensì garantire il futuro del modello di successo svizzero. Pertanto, la democrazia diretta e il federalismo devono rimanere inalterati. Affinché la Svizzera possa mantenere i suoi vantaggi economici, autonomiesuisse chiede al Consiglio federale di comunicare chiaramente all’UE, in un comunicato stampa, tre punti:

1. Correttezza nella risoluzione delle controversie
In caso di opinioni divergenti, è necessario un tribunale arbitrale indipendente. La Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) è il tribunale della controparte. Né la CGUE né il Tribunale federale possono impartire disposizioni vincolanti al tribunale arbitrale.

2. Opting-out senza clausola ghigliottina
Se la Svizzera deve recepire automaticamente il diritto comunitario, deve potersi discostare dallo stesso in caso di decisioni del Parlamento e votazioni popolari contrastanti, senza che l’UE ponga fine ai trattati per questo motivo. Le «ghigliottine» vanno respinte in generale. Una simile imposizione non è accettabile in un rapporto di uguaglianza. Sono concepibili misure di compensazione materiale, che sono comuni nel diritto dell’OMC. Anche per la Svizzera dev’essere possibile rivendicare delle deroghe dai requisiti dell’UE, come fanno già diversi Paesi membri.

3. Accordo di libero scambio come alternativa
La Svizzera deve attenersi all’Accordo di libero scambio del 1972 senza collegarlo a nuove disposizioni istituzionali, come vorrebbe l’UE. L’accordo di libero scambio non rientra nella soluzione pacchetto. La Svizzera ha una posizione negoziale forte e non ha bisogno di un’intesa a qualsiasi costo.

10. giugno 2023

Timori nel settore farmaceutico?

Il Consiglio federale intende definire i punti chiave per i negoziati con Bruxelles entro la fine di giugno. Tuttavia, anche i suoi più fedeli alleati stanno prendendo le distanze. Per anni l’associazione di categoria Interpharma ha sollecitato il Consiglio federale a rinnovare gli accordi bilaterali. Ora che quest’ultimo ha aderito all’appello, nel settore farmaceutico, in precedenza favorevole all’UE, si stanno diffondendo timori improvvisi. Perché? Semplice: perché nella soluzione pacchetto del Consiglio federale rientra anche l’accordo sulla sanità, che nel lungo termine potrebbe pregiudicare le regole del settore farmaceutico. Il CEO di Interpharma René Buholzer ha dichiarato all’«AargauerZeitung» che il Consiglio federale sta aprendo a nuove prospettive: «Un accordo di accesso al mercato interno è generalmente soggetto allo sviluppo giuridico dinamico dell’UE. Spesso esistono problemi di delimitazione del suo ambito di applicazione. Dunque non siamo in grado di dire dove ci porterà questo percorso.» Anche se al momento la Svizzera includesse solo singoli settori in quest’accordo, nel lungo termine si aprirebbero le porte all’UE per ulteriori passi avanti. Finora il settore sanitario svizzero è sempre stato chiaramente distinto da quello dell’UE. «Nell’economia, nei Cantoni con i loro ospedali e nella popolazione non vedo nessuno che voglia cambiare radicalmente questa situazione», dice Buholzer. autonomiesuisse ritiene che il motto «non sappiamo esattamente cosa vogliamo, quindi acceleriamo i negoziati» non sia una strategia valida per plasmare il futuro della Svizzera. L’«Aargauer Zeitung» si chiede giustamente: «La soluzione pacchetto finirà per rivelarsi un pacco bomba?»

16. maggio 2023

Il prezzo è troppo alto: adesso l’economia deve svegliarsi

l fatto che la Segretaria di Stato Livia Leu abbia lasciato l’incarico di responsabile dei negoziati tra la Svizzera e l’UE deve fungere da campanello d’allarme per chiunque desideri negoziati su un piano di parità. Viene così meno «la spina nel fianco» nel Dipartimento degli affari esteri. Mentre il Consigliere federale Ignazio Cassis si affidava di riflesso al principio della speranza nei colloqui esplorativi con l’UE, la Segretaria di Stato Livia Leu ha sempre affermato con sobrietà che la Svizzera non stava facendo alcun progresso sulle questioni rilevanti. Questa posizione scomoda sembra non essere più tollerata, ed è per questo che Leu ha gettato la spugna. Contrariamente alla bocciatura dell’accordo quadro nel 2020, c’è stato un ripensamento anche tra i sindacati, come riporta la rivista «Nebelspalter».

Tuttavia, i sindacati chiedono ai datori di lavoro concessioni di ampia portata in cambio della loro collaborazione. Di fatto, il partenariato sociale volontario verrebbe sostituito dall’obbligo di firmare contratti collettivi di lavoro (CLA) e dall’iscrizione obbligatoria ai sindacati. I sindacati potrebbero rimediare al problema del calo degli iscritti attraverso pagamenti obbligatori. Questo significa la fine del mercato del lavoro flessibile e liberale che consente alla Svizzera di essere competitiva a livello internazionale. Tuttavia, a risentirne non sarebbero principalmente le aziende a vocazione globale, bensì le PMI svizzere e la popolazione residente. Si potrebbero, infatti, perdere posti di lavoro e di formazione, con diminuzione del benessere.

autonomiesuisse fa appello ai/alle responsabili decisionali a livello politico, sociale e soprattutto economico affinché si sveglino. L’economia svizzera si dà la zappa sui piedi quando auspica una «rapida conclusione del trattato». Rinuncerebbe alle sue più importanti carte vincenti nella concorrenza globale per quello che potrebbe essere un accesso al mercato dell’UE leggermente più facile nel breve termine. Poiché questo prezzo è troppo alto, autonomiesuisse ha pubblicato un comunicato stampa.

21. aprile 2023

Ex capo economista di Economiesuisse: i cantoni stanno distruggendo il federalismo?

La Conferenza dei governi cantonali dà il via libera al Consiglio federale per i negoziati con l’UE – seguendo il vecchio modello dell’accordo quadro istituzionale fallito. Tra le altre cose, la Conferenza si sofferma sull’adozione dinamica del diritto comunitario e accetta la composizione delle controversie da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE). Alla Conferenza dei governi cantonali, istituita solo nel 1993, manca la legittimità democratica per esprimersi sulle questioni europee, come osserva il Dott. Rudolf Walser, ex capo economista di Economiesuisse ed ex esperto di Ex-Avenir Suisse, sulle pagine del «Weltwoche». Se ora la Conferenza sostiene ciecamente il Consiglio federale nell’integrazione europea, si dà la zappa sui piedi. Ecco il motivo: con la «logica dell’integrazione si aggiungerebbe, per così dire, un quarto livello di regolamentazione al sistema politico svizzero costituito da tre livelli: federale, cantonale e comunale. La ricerca in economia politica dimostra che, con una struttura istituzionale così sovraccarica, sarebbero proprio i cantoni ad avere la peggio», sostiene Walser. Ai sensi della Costituzione federale, il federalismo è un «sistema di non centralizzazione». Ciononostante, si tende alla centralizzazione della legislazione, che si riflette nella crescita incontrollata dei bilanci e delle amministrazioni statali. Walser fa appello alla Conferenza dei Cantoni affinché assolva al suo ruolo di «custode autoproclamata del federalismo» e valuti senza pregiudizi tutte le possibili opzioni per definire i futuri rapporti con l’UE. Un accordo globale di libero scambio basato sul modello UE-Canada, ad esempio, può creare prosperità per entrambi i partner – secondo il motto: «Libero scambio anziché accordo quadro, accesso al mercato anziché integrazione nel mercato».

27. marzo 2023

Sondaggio sull’Europa 2023: l’immigrazione e la pressione su salari e affitti sono motivo di preoccupazione

autonomiesuisse interpreta il più recente sondaggio sull’Europa di gfs.Bern in modo leggermente diverso rispetto alla cliente Interpharma, l’associazione delle aziende farmaceutiche di ricerca in Svizzera. Interpharma approfitta dello studio per esortare il Consiglio federale ad affrettare i negoziati con l’UE, ritenendo che la popolazione sia «pronta al compromesso». Tuttavia, il sondaggio sull’Europa è caratterizzato da risultati stabili nel corso degli anni: con la popolazione svizzera le posizioni estreme non hanno alcuna possibilità di successo. Solo una minoranza sarebbe favorevole all’adesione all’UE. Analogamente, solo una minoranza insiste affinché la Svizzera proceda da sola. La maggioranza ritiene che gli accordi bilaterali siano nel complesso vantaggiosi, sebbene si noti che questa opinione ha perso terreno nella Romandia – rimanendo una posizione minoritaria in Ticino. Dall’analisi dettagliata emergono alcune contraddizioni, che possono essere riconducibili anche agli interrogativi posti. È evidente, ad ogni modo, che il sostegno alla maggior parte degli argomenti pro-bilaterali sta diminuendo. L’opinione sull’UE si è particolarmente deteriorata negli ambiti in cui è imminente una prova del nove. Ad esempio, fino a prima che scoppiasse la guerra in Ucraina, l’UE era ancora considerata portatrice di pace dal 77 percento delle svizzere e degli svizzeri. Questa quota è crollata al 55 percento. Si è ridotta drasticamente la fiducia nel sistema Schengen: nemmeno un terzo crede che la Svizzera sarà risparmiata dalle «migrazioni per asilo» in virtù degli accordi bilaterali. Una maggioranza teme che l’immigrazione aumenti la pressione sui salari locali (58 percento) nonché sui prezzi degli affitti e degli immobili (56 percento). Si tratta di valori record che la politica dovrebbe prendere in seria considerazione. Dal sondaggio non si possono desumere ulteriori campi d’azione. Per chiarire questo aspetto, autonomiesuisse ha inviato un comunicato stampa ai media.

27. marzo 2023

Hans-Jörg Bertschi: «L’accordo quadro 2.0 sarebbe una camicia di forza per la Svizzera»

«Oggi, purtroppo, molti gruppi industriali pensano in un’ottica relativamente a breve termine. Al contrario, le aziende familiari pensano a lungo termine, per generazioni», afferma il Dott. Hans-Jörg Bertschi, presidente del CdA del globale Bertschi Group e co-presidente di autonomiesuisse in un’intervista all’«Aargauer Zeitung». Ritiene controproducente che le associazioni esigano una rapida conclusione dei negoziati con l’UE ad ogni costo. La Svizzera, infatti, dispone di notevoli vantaggi economici rispetto all’UE. «A lungo andare perderemmo questi vantaggi se dovessimo adottare sempre più regolamenti burocratici dell’UE, se fossimo sottoposti alla vigilanza della Commissione UE e se la Corte di Giustizia dell’Unione europea dovesse arbitrare in caso di divergenze», afferma Bertschi: «Non deve diventare un accordo quadro 2.0 che metta una camicia di forza alla Svizzera.» A seguito degli accordi bilaterali, le esportazioni del Bertschi Group verso la Germania sono aumentate del 60 percento, ma quelle verso gli USA del 150 percento. Eppure, con gli USA, non esiste nemmeno un accordo di libero scambio. «Gli accordi di libero scambio con l’UE sono importanti. Ma ancora più importante è la nostra forza innovativa», ribadisce Bertschi.

L’imprenditore, invece, si preoccupa per la crisi energetica. Grazie al clima mite e agli impianti di stoccaggio del gas pieni, quest’inverno ce la siamo cavata. Ma in futuro non potremo contare su questi fattori. «Se non troviamo una soluzione alla crisi energetica, avrà un’enorme ripercussione sulla piazza economica svizzera», avverte Bertschi. Anche con uno spegnimento ciclico di tre o quattro ore al giorno, le reti impiegherebbero diversi giorni per tornare a funzionare. «La Svizzera, probabilmente, si esulerebbe dal mondo per diverse settimane. Il che sarebbe inconcepibile negli affari globali», sostiene Bertschi. Nessun asiatico, nessun americano lo capirebbe. Ecco perché la politica deve impedire questi spegnimenti. Non può contare sull’elettricità importata: «Fino 2030, probabilmente dovremo importare il doppio di quanto importiamo oggi. Dalla Francia importiamo principalmente energia nucleare; quanto alla Germania, dal 40 al 50 percento dell’elettricità proviene attualmente dal carbone e dal gas. Il carbone e il gas sono sostenibili? (…) La Svizzera farebbe bene ad abolire il divieto tecnologico sulle moderne centrali nucleari»

21. marzo 2023

Bruno S. Frey: «Politici troppo remissivi nei confronti dell’UE»

La Svizzera si sta impoverendo? In un’intervista al «TagesAnzeiger», l’autorevole economista Prof. Dott. Bruno S. Frey si dichiara ottimista. Ritiene che il benessere non sia dovuto solo ai grandi operatori, ma anche a molte PMI e start-up. Sostiene, inoltre, che il contesto politico in Svizzera sia ancora stabile. Con i referendum, le iniziative e le domeniche elettorali, il sistema svizzero è di gran lunga migliore rispetto al Parlamento professionale tedesco, che si è allontanato dal popolo. Frey esorta la Svizzera a essere più sicura di sé: «Molti politici e funzionari statali sono timidi, quasi remissivi nei confronti dell’UE. Innanzitutto, dovrebbero dichiarare quanto segue: abbiamo molti più stranieri di voi, il miglior sistema democratico, un alto reddito pro capite, una distribuzione del reddito relativamente equa – e siamo anche più felici.» Frey evidenzia, inoltre, che i piccoli Paesi come la Svizzera, il Lussemburgo, il Liechtenstein e il Principato di Monaco giocano nella serie di punta. «Sono i grandi Paesi centralisti ad avere problemi con le grandi differenze», dichiara Frey, rammaricandosi per la tendenza a un maggiore centralismo.

04. marzo 2023

Studio internazionale: sovranità e accesso al mercato anziché subordinazione all’UE

La cessione della propria sovranità all’UE comporterebbe solo benessere per la Svizzera? Per la politica europea svizzera si direbbe che il mantra «Benessere in cambio di sovranità» sia una legge naturale. I sostenitori svizzeri della politica europea ribadiscono all’unisono con le istituzioni di Bruxelles che la Svizzera non può permettersi la sovranità politica. Un nuovo studio del Kiel Institute for the World Economy (IfW), dell’Istituto per la politica economica svizzera (IWP) dell’Università di Lucerna e dell’Istituto austriaco di ricerca economica (WIFO) mette in discussione questa logica apparente, smascherandola come pregiudizio. Le cittadine e i cittadini svizzeri potrebbero infatti aprirsi ai mercati senza rinunciare alle proprie regole. La parola magica è «accesso al mercato, anziché integrazione nel mercato», scrive uno degli autori dello studio, il Prof. Dr. Christoph A. Schaltegger, direttore dell’IWP, in un suo articolo sulla politica europea svizzera. Basterebbe modernizzare l’accordo di libero scambio del 1972, un’opzione ripetutamente invocata anche da autonomiesuisse.

Quanto alle cifre, lo studio «Handelsbeziehungen zwischen der Schweiz und der EU: Quantitative Bewertung unterschiedlicher Szenarien der zukünftigen Zusammenarbeit» («Relazioni commerciali tra Svizzera e UE: analisi quantitativa di diversi scenari della collaborazione futura») giunge alla seguente conclusione: una modernizzazione dell’accordo di libero scambio del 1972 secondo il modello dell’accordo CETA tra Canada e UE comporterebbe per la Svizzera un aumento del valore aggiunto pari all’1,5% e un aumento dei redditi reali pari al 2,4%. Per contro, il valore aggiunto e i redditi reali si ridurrebbero in uguale misura in caso di disintegrazione totale. Se la Svizzera si integrasse nell’UE, in teoria si otterrebbero i massimi vantaggi commerciali, ma a scapito di una perdita di sovranità non quantificabile, e in ultima istanza gli svantaggi economici prevarrebbero nel lungo termine. Lo studio mostra chiaramente che un accordo di libero scambio sarebbe un’alternativa semplice allo stallo dell’accordo quadro o alla soluzione pacchetto, poiché genera benessere senza che la Svizzera debba cedere la propria autodeterminazione all’UE. L’accordo CETA tra Canada e UE fornirebbe addirittura già una «falsariga» utile, argomenta Schaltegger nel suo articolo.

01. marzo 2023

La Svizzera è il «Paese più libero del mondo»

Da circa 20 anni, il Fraser Institute, canadese, cerca di misurare il livello di libertà. Ed ecco che, nell’ultima edizione del cosiddetto Human Freedom Index, la Svizzera occupa il primo posto – seguita da Nuova Zelanda ed Estonia. Al riguardo, il Fraser Institute ha analizzato i dati di 165 Paesi, che però si riferiscono al 2020. La Svizzera consegue buoni risultati sia in termini di libertà economiche (3° posto) che di libertà personali (2° posto). Di converso, la Svezia si colloca ai primi posti per libertà personale, ma resta indietro sul piano economico. Per Hong Kong e Singapore, invece, la situazione è opposta. Come riporta il Fraser Institute, chi vive in Paesi liberi gode non solo di maggiori possibilità di crescita, ma anche di maggiore benessere. In generale, la libertà è diminuita in tutto il mondo. Il think tank parla di «recessione della libertà di espressione». autonomiesuisse si impegna affinché la Svizzera continui ad essere un rifugio di libertà. Il fattore di successo in termini di libertà è in gran parte imputabile alla democrazia diretta e al federalismo nella pratica. Non dobbiamo compromettere questi pilastri con trattati internazionali sfavorevoli.

18. febbraio 2023

Mathias Binswanger: «Dimenticatevi Horizon 2020»

L’UE si ostina a umiliare la Svizzera in un settore delicato, quello della formazione: mentre, ad esempio, considera la Tunisia un Paese associato al programma di ricerca dell’UE «Horizon Europe», classifica la Svizzera come Paese terzo non associato. I rettori delle università e i politici lanciano l’allarme pressoché ininterrottamente. «Effettivamente la situazione è intollerabile, ma in un senso completamente diverso da quanto delineano i rettori», scrive nel «Weltwoche» Mathias Binswanger, Professore di economia presso la Scuola universitaria professionale della Svizzera nordoccidentale e uno degli economisti più influenti della Svizzera, secondo la classifica stilata dal «Neue Zürcher Zeitung»: «È intollerabile che la ricerca svizzera si sia resa dipendente dalle sovvenzioni dell’UE e quindi ricattabile.» La partecipazione al programma di ricerca dell’UE rappresenterebbe, infatti, una gabbia burocratica che distoglierebbe dal ragionare. I ricercatori e le ricercatrici si dedicherebbero alla stesura di proposte per progetti i cui risultati non verrebbero apprezzati da nessuno. Il sistema che vuole premiare la qualità si starebbe trasformando in un sistema che la ostacola. «La scienza diventa solerzia priva di anima!», critica Binswanger. Sta di fatto che, molte università svizzere, come l’Università di Zurigo, occupavano una posizione migliore nelle classifiche internazionali prima che la Svizzera entrasse a far parte di Horizon Europe (2004).

15. gennaio 2023

Hans-Jörg Bertschi: «Il Consiglio federale deve mettere sul piatto della bilancia i punti di forza della Svizzera»

In un’intervista al quotidiano «NZZ», Hans-Jörg Bertschi, co-presidente di autonomiesuisse e presidente del CdA di Bertschi AG, raccoglie una patata bollente: solo nel 2022 la Svizzera è cresciuta di 200 000 persone, il che equivale alla città di Basilea. Eppure, la carenza di personale specializzato non è mai stata così importante, mentre la crescita demografica sta raggiungendo i suoi limiti in termini di infrastrutture, prezzi dei terreni e degli immobili. «La Svizzera deve valutare se sia possibile gestire l’immigrazione diversamente», esorta Bertschi. Le aziende ne trarrebbero vantaggio perché potrebbero assumere facilmente collaboratori e collaboratrici all’estero. Per questo motivo, ritiene che l’economia debba contribuire «affinché si possano costruire più linee ferroviarie, strade ed edifici scolastici». Bertschi, inoltre, mette in guardia da azioni precipitose durante i nuovi negoziati con l’UE. Pur considerando quelli bilaterali un modello di successo, li classifica: le esportazioni verso gli USA, ad esempio, sono aumentate più del doppio rispetto a quelle verso la Germania da quando sono in vigore gli accordi con l’UE. Nel contempo ritiene che l’UE tragga più vantaggi dalla Svizzera in termini di commercio, servizi, investimenti e posti di lavoro per i suoi cittadini che non viceversa. Un legame istituzionale con l’UE non dovrebbe arrivare a compromettere la democrazia diretta e il federalismo. «Mi sorprende che il Consiglio federale, nel Rapporto sull’Europa, non menzioni nemmeno le delicate questioni di politica interna», afferma Bertschi – e ribadisce che il Consiglio federale dovrebbe portare avanti i colloqui esplorativi, ma «affrontando i punti delicati di politica democratica» e «mettendo sul piatto della bilancia» i punti di forza della Svizzera come Paese più innovativo del mondo.

06. gennaio 2023

Su questi tre punti il Consiglio federale deve tener testa all’UE

Da quando, 30 anni fa, il Consiglio federale ha presentato la domanda di adesione all’UE, la politica svizzera in materia si è distinta in diverse occasioni per azioni rapide che hanno messo di buon umore i funzionari dell’UE, ma non rispecchiavano la volontà dell’elettorato svizzero. Se è vero che finora è stato possibile rimediare a questo tipo di errori del passato, adesso il Consiglio federale non può ripeterli. Invece di lasciarsi abbagliare dalla «dinamica positiva con l’UE» (testuali parole di Ignazio Cassis), il Consiglio federale deve concentrarsi su quanto avviene concretamente nella politica – come le provocazioni dell’UE nei confronti della Svizzera – e adoperarsi per garantire un futuro al modello di successo di una Svizzera aperta al mondo, innovativa e libera. Questo è possibile solo se la Svizzera mantiene la sua libertà d’azione. autonomiesuisse esorta pertanto il Consiglio federale a tenere testa all’UE su almeno tre ulteriori punti nei futuri colloqui esplorativi:

1. Se la Svizzera deve recepire in modo dinamico il diritto comunitario, in caso di decisioni del Parlamento e votazioni popolari divergenti si deve poter ricorrere a un equo «opting out».

2. Il consolidato accordo di libero scambio con l’UE del 1972 non può essere incluso nel pacchetto.

3. È necessario disporre di un tribunale arbitrale neutrale per le controversie. La Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) non è adatta a questo scopo, in quanto rappresenta la controparte.

Per rendere più incisive le sue rivendicazioni, autonomiesuisse ha inviato un comunicato stampa ai media svizzeri.

15. dicembre 2022

Il Consiglio federale sta perdendo di vista la questione principale?

Il percorso bilaterale rimane la soluzione più vantaggiosa per la Svizzera, scrive il Consiglio federale nel rapporto «Stato delle relazioni Svizzera-UE». Tuttavia, per l’UE questo percorso è praticabile solo a fronte di un «avvicinamento istituzionale» della Svizzera. In parole povere, ciò significa che l’UE vuole stabilire le condizioni quadro politiche della Svizzera, non tendendo conto dei processi di democrazia diretta. Mentre il Consiglio federale parla di un «partenariato» con l’UE, l’UE interpreta questo rapporto in termini evidentemente discordanti. Con le sue provocazioni e pretese, persegue una politica di potere finalizzata ai propri interessi che risulta poco collaborativa. autonomiesuisse accoglie con favore quando vengono compiuti dei primi passi in avanti nei colloqui esplorativi, soprattutto per quanto riguarda l’accordo sulla libera circolazione delle persone (accesso ai sistemi sociali, protezione dei salari). Ma questi progressi non bastano. Chi decide non dovrebbe perdersi intorno a considerazioni marginali, bensì lottare per la causa principale, ossia preservare il modello di successo svizzero. Un legame istituzionale con l’UE, che condiziona i diritti popolari e la sovranità della Svizzera, mette a rischio il nostro benessere. Un’adozione dinamica del diritto comunitario può essere presa in considerazione soltanto se con le votazioni popolari la Svizzera continuerà a disporre di un equo opting-out e se le controversie saranno risolte da un tribunale arbitrale indipendente. È bene che la Svizzera non prenda iniziative affrettate e dettate dalla pressione, perché potrebbero rivelarsi un colpo alle spalle. Per assicurare il futuro della Svizzera come la democrazia più antica, autonomiesuisse ha inviato ai media la propria valutazione del rapporto del Consiglio federale.

08. dicembre 2022

La «Legislazione europea sulla libertà dei media» spinge i media svizzeri a un ripensamento?

Stato di diritto, democrazia e diritti fondamentali sono valori di cui alla Commissione europea piace fare il proprio vessillo. E per imporli ora si è inventata una novità: una «legislazione sulla libertà dei media». Stando alla motivazione ufficiale, per un sistema multimediale pluralistico questo «European Media Freedom Act» (EMFA) sarebbe indispensabile. Ma il nuovo regolamento contiene effettivamente quel che è scritto sulla copertina, ossia la libertà? A metterlo in dubbio non sono solo due stati poco allineati come Ungheria e Polonia. Anche in Germania e in Austria si va formando un’insolita resistenza. Le associazioni di editori temono che l’«ordinanza sulla servitù dei media», ironico soprannome da loro coniato, finisca invece per limitare la libertà di stampa. La Commissione europea prevede infatti di creare una nuova autorità di vigilanza. «Oltre a ergersi a legislatore sui media, la Commissione vuole anche assumersi il compito di vigilare sugli stessi», critica ad esempio Malu Dreyer (SPD), Presidente della Renania Palatinato. A suo dire, la centralizzazione della vigilanza sui media è in contraddizione con il diritto costituzionale tedesco e pregiudica gli standard di qualità. «La Commissione afferma di voler tutelare i media dallo Stato, e così facendo li consegna alla sorveglianza del superstato europeo», ha commentato il quotidiano «Frankfurter Allgemeine». autonomiesuisse auspica che la discussione sulla prevista autorità centrale induca anche gli operatori dei media svizzeri e gli editori svizzeri a ripensare la propria posizione nei confronti della UE.

28. novembre 2022

Guardate le cose con chiarezza

Con analisi, video e podcast, il team di prim’ordine della rivista «Nebelspalter», guidato dal caporedattore Markus Somm, propone ogni giorno una panoramica chiara delle vicende mondiali e della politica svizzera – tra gli altri, Dominik Feusi è in collegamento diretto dal Palazzo federale. Approfittate subito delle interessanti offerte di abbonamento: vi permetteranno di dissipare le nubi confuse che sovrastano la giungla dell’informazione. Richiedete l’abbonamento di prova per voi, oppure regalate la «Nebelspalter» ad amici e conoscenti per Natale. È disponibile solo in tedesco.

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28. novembre 2022

Hans-Jörg Bertschi: «L’allarmismo non si è mai rivelato fondato»

La Svizzera ha superato le crisi degli ultimi anni molto meglio rispetto all’UE. Lo dice chiaramente Hans-Jörg Bertschi, co-presidente di autonomiesuisse e presidente del CdA del gruppo Bertschi, in un’intervista alla rivista «Nebelspalter». Secondo lui, l’allarmismo degli «euroturbo» non si è mai rivelato fondato. Cosa c’è alla base del modello di successo svizzero? «Sono le condizioni quadro liberali, il federalismo e la democrazia diretta a incidere su questo aspetto», afferma Bertschi: «Una subordinazione della Svizzera al diritto comunitario e alla Corte di giustizia dell’Unione europea annullerebbe questi vantaggi.» Ritiene che la Svizzera abbia sempre funzionato bene perché la politica e l’economia lavorano insieme, invece di competere l’una contro l’altra. Nei colloqui esplorativi con l’UE, adesso il Dipartimento degli affari esteri svizzero deve mettere sul tavolo le questioni essenziali: le eccezioni all’adozione del diritto comunitario, un opting-out per le votazioni popolari e un tribunale arbitrale indipendente per la composizione delle controversie. E poi occorre garantire che l’accordo di libero scambio non sia soggetto a queste regole istituzionali. «L’UE è molto importante per noi, ma non dobbiamo avvicinarci ad essa in modo unilaterale. Dobbiamo rimanere aperti al mondo», ribadisce Bertschi.

23. novembre 2022

Negoziati con l’UE: la Svizzera non deve ripetere gli stessi errori

Dopo il fallimento dell’accordo quadro con l’UE, si sta ora discutendo di una «soluzione pacchetto». Diversi media parlano di «segnali positivi» da parte di Bruxelles perché l’UE ha fatto allusione a determinate concessioni in merito alla protezione dei salari e alla direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE. La nuova formulazione non deve però illudere: il pacchetto non risolve i punti più controversi dell’accordo quadro. Infatti, l’UE insiste tra l’altro su una risoluzione delle controversie presso la Corte di giustizia dell’Unione europea. Per autonomiesuisse, un’adozione dinamica del diritto comunitario può essere presa in considerazione soltanto se con le votazioni popolari la Svizzera continuerà a disporre di un equo opting-out e se le controversie saranno risolte da un tribunale arbitrale indipendente. Anche l’accordo di libero scambio valido dal 1972 non deve rientrare nel «nuovo quadro».

Guardando ai nuovi negoziati con l’UE, ad avere priorità non è una ricomposizione rapida, ma la garanzia che non venga messo in pericolo il modello di successo di una Svizzera aperta al mondo, innovativa e libera. Come se l’insistenza dell’UE non fosse abbastanza, le politiche e i politici di Bruxelles portano fattivamente avanti anche una diplomazia parallela e alcune associazioni economiche esercitano pressioni non ponderate nella speranza di «quick wins». Tutto questo indebolisce notevolmente la posizione della delegazione negoziale svizzera. Prima di ulteriori trattative, l’UE deve innanzitutto creare una base di fiducia mediante l’eliminazione di tutte le «misure vessatorie» (esclusione da Horizon Europe, rinnovo degli MRA, ecc.) che ha adottato unilateralmente. Con i miliardi di coesione, la Svizzera ha ampiamente dimostrato la propria buona volontà. Per impedire che la Svizzera ripeta gli errori dei negoziati passati, autonomiesuisse ha pubblicato un comunicato stampa.

26. ottobre 2022

L’UE prosegue la politica di provocazioni nei confronti della Svizzera

Nelle cosiddette conclusioni, l’UE stabilisce il comportamento da adottare nei confronti di stati come la Svizzera. Questo le permetterebbe, ad esempio, di attenuare la sua politica di provocazioni. Senza perdere la faccia, l’UE potrebbe, tra le altre cose, riammettere la Svizzera nel programma di ricerca Horizon dell’UE; del resto, vi partecipano anche Paesi extracomunitari come la Tunisia. Ma alla riunione del gruppo di lavoro responsabile degli stati dell’UE, le conclusioni sulla Svizzera non figuravano nemmeno nell’ordine del giorno, come riportato dal «Blick». Ecco il motivo: l’UE denuncia «progressi insufficienti nei colloqui esplorativi tra il nostro Paese e l’UE stessa». Mentre l’UE non si muove di un millimetro, si aspetta ovviamente che la Svizzera faccia concessioni su tutta la linea.

autonomiesuisse ritiene che nemmeno i miliardi di coesione svizzeri generosamente accordati possano smuovere l’UE dalla sua posizione di stallo. Probabilmente un ripensamento a Bruxelles richiederà tempo, tanto tempo, magari fino a quando ci saranno nuove persone a condurre i colloqui. Ciò rende ancora più controproducente la pressione che alcuni ambienti politici svizzeri stanno esercitando sul Consiglio federale. Indeboliscono la posizione negoziale della Svizzera e invogliano l’UE a «ricattare» il nostro Paese. Nel complesso, questo potrebbe sfociare in un accordo unilaterale che saboterebbe il modello di successo della Svizzera.

24. settembre 2022

Adesione all’UE? Assolutamente fuori moda!

30 anni dopo il «no» dell’elettorato svizzero al SEE, i giovani svizzeri provano indifferenza nei confronti dell’UE. Come segnala la «SRF», infatti, i giovani tra i 18 e i 34 anni costituiscono la fascia di età più scettica per quanto riguarda l’UE. Quattro su cinque (77,9 percento) sono nettamente favorevoli a far procedere la Svizzera da sola. Solo il 6,5 percento dei giovani adulti sta ancora valutando la possibilità di aderire all’UE. Sembra proprio che, in 30 anni, lo stato d’animo si sia spostato di 180 gradi. All’epoca, oltre la metà (59,2 percento) della popolazione giovane svizzera riteneva interessante l’adesione all’UE. Il geografo politico Michael Hermann spiega che allora l’Europa era considerata una «sorta di luogo idilliaco»: «Una parte della popolazione desiderava un’apertura dopo gli anni della guerra fredda, per molti si trattava di una fuga dalla prigione, come sosteneva Friedrich Dürrenmatt.» Se alcuni dei «veterani» della politica guardano ancora di riflesso a Bruxelles prima di ogni decisione, si allontanano sempre di più dall’atteggiamento nei confronti della vita della popolazione svizzera più giovane.

13. settembre 2022

Segretaria di Stato Leu: «L’UE persegue una politica di pressione»

Con l’intervista rilasciata al Neue Zürcher Zeitung, la Segretaria di Stato Livia Leu ha suscitato reazioni forti in alcuni ambienti. «Purtroppo sembra che l’UE non abbia tanta fretta, avendo più volte rinviato le date», afferma la responsabile dei negoziati della Svizzera in merito ai suoi «colloqui esplorativi». Con la massima diplomazia possibile, definisce il comportamento dell’UE una «politica di pressione». «Ciò non favorisce la ricerca di soluzioni. Proprio perché l’Europa dovrebbe restare unita, questo comportamento è difficile da capire.» Secondo Leu, invece, la Svizzera ha già svolto da tempo i suoi compiti: ritiene, infatti, che il Consiglio federale abbia ottemperato alla richiesta dell’UE di assumere un impegno chiaro. Con il nuovo pacchetto negoziale dichiarerebbe la propria disponibilità ad avvicinarsi istituzionalmente all’UE – ivi compresa l’adozione dinamica dei diritti. Analogamente, la Svizzera sarebbe pronta a definire una composizione delle controversie con l’UE e a parlare di una «stabilizzazione» del contributo di coesione. In risposta all’intervista, la «SRF» ha interpellato i consiglieri nazionali Jürg Grossen (verdi liberali), Hans-Peter Portmann (PLR), Fabian Molina (PS) ed il Consigliere agli Stati Pirmin Bischof (Alleanza del Centro). A loro avviso, le contestazioni di Leu vanno ribaltate, ritenendo che il problema non sia Bruxelles, bensì Berna. Il Consiglio federale, infatti, starebbe procedendo «troppo lentamente».

autonomiesuisse ritiene inopportuno che alcuni parlamentari svizzeri indeboliscano la posizione negoziale di Livia Leu. Dal punto di vista dell’economia svizzera indipendente, c’è da chiedersi anche perché Svizzera dovrebbe velocizzare i negoziati con l’UE. Considerando tutti gli indicatori – attualmente, ad esempio, i tassi di inflazione – la Svizzera gode di una situazione nettamente migliore rispetto agli stati dell’UE. Non deve cedere alle pressioni dell’UE e degli ambienti interni più filocomunitari. Nei rapporti con l’UE, vanno affrontate le questioni delicate dell’adozione del diritto comunitario, che essenzialmente non è stata messa in discussione dal Consiglio federale, e la possibile subordinazione della Svizzera alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), di parte, in caso di controversia. La Svizzera non deve compromettere a cuor leggero la sua indipendenza politica e quindi il suo modello di successo.

18. agosto 2022

Medtech: e ancora una volta l’UE danneggia sé stessa

Ogni volta che l’UE attacca la Svizzera, la Svizzera si fa prendere dal panico. Il settore medtech locale sembrava in coma quando l’UE, a maggio 2021 – contrariamente a tutti gli accordi – ha reso unilateralmente più difficile l’accesso al suo mercato interno. I sostenitori dell'accordo quadro temevano che, senza un accordo quadro, le concorrenti europee avrebbero ostacolato le nostre aziende. Markus Somm ha appena valutato questo settore nel «Somms Memo» della rivista «Nebelspalter». Il risultato: l’UE si è, più che altro, data la zappa sui piedi. Le aziende medtech svizzere, infatti, nel primo semestre del 2022 hanno aumentato i loro fatturati, anche nell’UE. Secondo l’associazione di categoria Swiss Medtech, le aziende stanno andando a gonfie vele. L’industria medtech europea, invece, sta soffrendo per la transizione alla nuova normativa europea. L’85% dei suoi prodotti non è ancora certificato. E i tempi per la certificazione sono raddoppiati fino a 18 mesi, come denuncia MedTech Europe. La metà delle aziende dell’UE sta pertanto valutando di dare priorità alla certificazione e alla vendita dei propri prodotti in altri mercati per il futuro. Mentre le concorrenti europee sono in fila presso gli organismi di prova, le aziende svizzere tormentate hanno già da tempo i loro certificati in mano. Le conclusioni di Swiss Medtech parlano da sole: «Adesso siamo addirittura in vantaggio rispetto alla media delle aziende dell’UE».

10. agosto 2022

Storico economico vede i rapporti tra Svizzera e UE «rilassati»

È opportuno che la Svizzera torni al più presto al tavolo dei negoziati con l’UE? Ad esempio, per poter partecipare nuovamente al programma quadro di ricerca europeo Horizon Europe? Tobias Straumann, noto professore di storia economica all’Università di Zurigo, si dimostra «rilassato», quando gli vengono posti questi interrogativi. Anche senza l’aggiornamento degli accordi bilaterali, l’economia svizzera procede in modo «eccellente», ha dichiarato all’«Aargauer Zeitung», sostenendo inoltre che, in quasi tutti i programmi Horizon, la Svizzera è ancora coinvolta. Semplicemente, non può assumerne la guida. «Questo presenta degli svantaggi, ma non è drammatico. Gli istituti universitari svizzeri continuano a ricevere fondi», sottolinea Straumann: «Non dobbiamo lamentarci in continuazione, ma piuttosto sviluppare programmi alternativi, anche a livello internazionale, con i quali la Svizzera possa sfruttare i suoi punti di forza come polo di ricerca aperto e ben finanziato.». Secondo Straumann, il programma di scambio Erasmus funziona bene come prima, da quando la Svizzera ne ha assunto autonomamente l’organizzazione e il finanziamento. Non si aspetta molto da ulteriori negoziati con l’UE. Perché l’UE si ostina a chiedere alla Svizzera l’adozione dinamica del diritto comunitario – il che non è in grado di ottenere la maggioranza dei consensi. In accordo con Straumann, autonomiesuisse auspica che la Svizzera utilizzi il tempo a disposizione per le riforme interne. Del resto, l’ultima grande riforma, l’introduzione del freno all’indebitamento, risale a più di 20 anni fa. In assenza di ciò, oggi il Paese sarebbe fortemente indebitato come gli stati dell’UE. Tra le altre cose, urge migliorare le condizioni quadro economiche, garantire l’approvvigionamento energetico, assicurare ai servizi sociali una base sostenibile e migliorare le scuole dell’obbligo.

13. giugno 2022

Chi fermerà la controproducente «mozione Horizon» del Consiglio nazionale?

Il Consiglio nazionale intende seguire la roadmap del PS per quanto riguarda la politica europea. Grazie anche al sostegno ricevuto da fonti inaspettate: parti del PLR e l’organizzazione mantello delle imprese economiesuisse. Con 6 astensioni, la mozione della Commissione della politica estera ha ricevuto 92 voti a favore e 92 contrari – una situazione di stallo che la Presidente del Consiglio nazionale, Irene Kälin, ha superato con un voto decisivo: ha approvato la mozione che sollecita misure urgenti affinché la Svizzera possa nuovamente partecipare, tra gli altri, al programma di ricerca Horizon dell’UE. autonomiesuisse si rammarica che il Consiglio nazionale abbia perso la pazienza, anteponendo presunti «quick wins» a breve termine agli interessi a lungo termine della Svizzera. Il Consiglio nazionale aveva già richiesto al Consiglio federale un programma svizzero indipendente per la ricerca e l’innovazione di eccellenza. Tale programma potrebbe essere orientato allo spirito pionieristico scientifico ed ai grandi risultati conseguiti in ambito internazionale – al contrario di Horizon, che si fonda su una concezione della scienza tendenzialmente burocratica. Il Consiglio nazionale colpisce alle spalle il Consiglio federale in un momento critico dei negoziati con l’UE, indebolendo così la posizione della Svizzera. Quando il Consiglio nazionale presenta la prospettiva di un terzo contributo di coesione svizzero all’UE come un’esca, ignora tutte le esperienze pregresse. Nonostante l’autorizzazione di un secondo contributo volontario di coesione verso la fine del 2021, l’UE non si è allontanata di un millimetro dalla sua politica di provocazioni. Ha dichiarato che le questioni istituzionali sono l’unico fattore decisivo per fare concessioni. Nel suo complesso, l’economia svizzera si presenta più solida rispetto a quella dell’UE. autonomiesuisse auspica, pertanto, che il Consiglio degli Stati sia all’altezza della sua reputazione di «chambre de réflexion», ponendo rimedio all’azione precipitosa della Camera bassa. La delegazione negoziale svizzera deve poter rappresentare gli interessi della Svizzera con determinazione e portare avanti la strategia con pazienza.

02. giugno 2022

Livia Leu all’UE: un rifiuto con lo «zuccherino»?

La Segretaria di Stato Livia Leu ha risposto alle domande di Bruxelles sulla posizione della Svizzera. La lettera fa «emergere un mix di orgoglio e depressione», scrive il caporedattore della «Nebelspalter» Markus Somm nella sua rubrica «Somms Memo». Giustamente la Segretaria di Stato evidenzia che è l’UE a rivestire il ruolo di richiedente. Bruxelles richiede una sorta di sovrastruttura per entrambi gli accordi bilaterali «che le consenta di portare avanti unilateralmente tutte le leggi e le regole relative al mercato interno, senza lasciarci voce in capitolo». Con un eufemismo viene definita un’«adozione dinamica dei diritti». In altre parole si potrebbe parlare di una «colonizzazione» della Svizzera da parte dell’UE. Accanto al rifiuto di numerose richieste, secondo Somm la Leu fa tuttavia una concessione «enorme come il Cervino». La Segretaria di Stato parla di un «cambio di paradigma» auspicato dall’UE e pare disposta a tollerarlo. Le basta che la Svizzera benefici di alcune eccezioni, ad esempio per la protezione dei salari, per la Direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE e, in un momento successivo, per nuovi accordi sull’elettricità o la sicurezza alimentare. Ma il vulnus sta nell’idea di base, quella dell’adozione dinamica dei diritti. Essa annienta infatti la nostra democrazia diretta, che conferisce all’elettorato svizzero una quantità di diritti difficilmente riscontrabile in altri Paesi del mondo. «Perché noi cittadini dovremmo approvare un accordo che ci esautora nel lungo termine?», si domanda Somm. E aggiunge: «Tutte le leggi che Bruxelles reputa importanti per il presente e il futuro del mercato interno vengono scritte a Bruxelles». Secondo il giornalista i sostenitori dell’UE partono dal presupposto che la Svizzera possa comunque esercitare la propria influenza. «Ma per il singolo cittadino questa strada non è mai percorribile», fa notare Somm. A infondergli un certo ottimismo, tuttavia, è il fatto che Livia Leu richieda così tante eccezioni alle regole che molto probabilmente l’UE tirerà indietro la mano che le ha teso: «Questo è il bello dell’UE. È ottusa e prevedibile».

21. maggio 2022

Lettera sgradevole da Bruxelles

«Cara Livia», ha aggiunto a mano all’ultimo momento Juraj Nociar, Capo di gabinetto della Commissione UE, sulla lettera indirizzata alla Segretaria di Stato svizzera Livia Leu. Rimane l’unica formulazione cordiale nella dura lettera con allegato un questionario che, di recente – probabilmente non del tutto involontariamente – è stata resa pubblica, come commenta Dominik Feusi nella rivista «Nebelspalter». In questa lettera, la Commissione UE evidenzia alla Svizzera soprattutto una cosa: in termini di contenuti, non intende allontanarsi di un millimetro dall’accordo quadro. Continua a insistere sul fatto che la Svizzera si attenga automaticamente al diritto comunitario. Sarebbe, inoltre, la Corte di giustizia dell’Unione europea ad interpretare la legge e la Svizzera dovrebbe impegnarsi a versare regolarmente i contributi di coesione. Anche se il Consiglio federale auspica un «approccio verticale» con l’UE, quest’ultima insiste su tutte le condizioni che, dal punto di vista di autonomiesuisse, superano ogni limite e mettono a repentaglio il modello di successo svizzero. L’«approccio verticale» è quindi di fatto fuori discussione. Infatti, l’UE non ha intenzione di concedere alla Svizzera alcun margine di manovra, come sostiene un «diplomatico esperto». Piuttosto, vuole fare pressione sul Consiglio federale. Come reagirà quest’ultimo? Se il Consiglio federale non cede, per coerenza Livia Leu dovrà respingere le richieste dell’UE. Non c’è una sola domanda dell’UE a cui possa rispondere semplicemente in modo affermativo.

17. maggio 2022

Studio Frontex: i cittadini della UE vogliono più democrazia

Frontex, l’agenzia europea della guardia costiera e di frontiera, può ricevere un contributo supplementare dalla Svizzera: così si è espresso l’elettorato locale il 15 maggio 2022. Nei Paesi della UE un tale referendum non sarebbe stato possibile. Molte cittadine e cittadini dell’Unione europea non hanno mai sentito parlare di Frontex. Conoscono meno quest’organizzazione rispetto agli svizzeri, ma sarebbero in linea di massima d’accordo su un suo potenziamento. È quanto emerge dallo studio «Frontex, Europa und die direkte Demokratie» («Frontex, l’Europa e la democrazia diretta»), commissionato all’istituto demoscopico GfS Bern da Luzius Meisser, co-presidente di autonomiesuisse e fondatore della Bitcoin Association Switzerland, insieme alla Stiftung für direkte Demokratie (Fondazione per la democrazia diretta). Al sondaggio hanno partecipato 13 610 cittadini aventi diritto di voto in 25 Paesi dell’Unione europea. Complessivamente, la maggioranza assoluta degli aventi diritto di voto ha un’opinione positiva sulla UE. La maggior parte degli intervistati, inoltre, si sente sicura, eccetto a Cipro. Tuttavia lo studio evidenzia anche un forte desiderio di votazioni popolari sia a livello nazionale sia a livello UE. Sotto quest’aspetto la Commissione europea non rappresenta gli interessi della propria popolazione, che spesso agirebbe in modo simile alla popolazione svizzera. Pertanto autonomiesuisse rifiuta altresì un recepimento dinamico del diritto europeo non legittimato dalla democrazia diretta. Per tale motivo la Svizzera deve dire chiaramente alla UE di non essere intenzionata ad aderire a un «accordo quadro 2.0». Cosa occorre? Un po’ di coraggio da parte delle autorità di Berna e del Consiglio federale.

15. marzo 2022

Il Consiglio nazionale indebolisce la posizione negoziale nei confronti dell’UE

Tre settimane dopo che il Consiglio federale ha presentato i suoi progetti relativi alla politica europea, il Consiglio nazionale ha promosso un’iniziativa parlamentare sulla questione UE: con 127 voti contro 58 voti e 7 astenuti. Ufficialmente si tratta di emanare una legge federale sulla «Prosecuzione e agevolazione dei rapporti tra la Svizzera e l’UE», come riferisce il «TagesAnzeiger». In realtà, la legge sottrae l’intero dossier al Consiglio federale. Eric Nussbaumer (PS), la mente trainante della Commissione della politica estera a tal riguardo, non fa mistero di continuare ad aspirare a un’integrazione istituzionale della Svizzera nell’UE, ad esempio tramite un «accordo quadro 2.0». autonomiesuisse spera che il Consiglio degli Stati si comporti davvero da «chambre de réflexion» e che corregga l’azione precipitosa ed emozionale della Camera bassa. Ciò per tre motivi. Primo, una «Legge europea» indebolirebbe notevolmente la posizione negoziale del Consiglio federale nei confronti dell’UE. Già ora l’UE ha l’impressione che il Parlamento pugnali alle spalle il Consiglio federale. Secondo, una tale «Legge europea» non sarebbe conciliabile con la ripartizione delle competenze della Costituzione federale, come argomenta il Prof. Dott. Carl Baudenbacher, Presidente della Corte di giustizia dell’AELS a.D. Terzo, il Parlamento ha agito contro gli interessi della popolazione svizzera che, secondo un sondaggio di GfS, preferisce un accordo di libero scambio con l’UE rispetto ad accordi bilaterali, all’adesione allo SEE e a un accordo quadro. La proposta di legge del Consiglio nazionale escluderebbe dunque proprio l’opzione più gradita. autonomiesuisse considera un moderno accordo di libero scambio un’alternativa interessante nel caso in cui l’orientamento pianificato dal Consiglio federale nei negoziati con l’UE non dovesse portare un risultato soddisfacente.

07. marzo 2022

Ernst Baltensperger: «Il Consiglio federale ha bisogno di un piano B»

L’Ucraina, la Georgia e la Moldavia vogliono entrare nell’UE. Anche la Svizzera dovrebbe prendere in considerazione di avvicinarsi all’UE? Il Prof. Dott. Ernst Baltensperger, il decano della politica monetaria svizzera, ha affrontato queste e altre domande poste dal «SonntagsZeitung» con parole chiare. Accoglie con favore il fatto che il Consiglio federale stia riprendendo i negoziati con l’UE – ma non è convinto che vadano a buon fine. «Dovremmo avere un piano B», auspica l’autorevole pensatore di lunga data della Banca nazionale. Ritiene che l’accordo quadro sia fallito perché, in Svizzera, due elementi centrali non erano accettabili per la maggioranza: l’adozione dinamica dei diritti e la Corte di giustizia dell’Unione europea. Secondo Baltensperger, l’adozione dinamica dei diritti è possibile per alcune questioni tecniche e organizzative. «Ma ovunque siano in gioco i diritti politici, come nel caso della libera circolazione delle persone, ovvero i diritti civili, i diritti sociali, il diritto di stabilire il proprio domicilio (...) semplicemente no», ribadisce il professore. Considera «assurdo aspettarsi, da uno stato sovrano non membro dell’UE, che sia disposto a delegare a Bruxelles la sovranità sui diritti civili e sull’immigrazione». Per quanto riguarda il piano B, Baltensperger propone – come già Rudolf Strahm prima di lui – un accordo di libero scambio simile a quello tra il Canada e l’UE. Non dovremmo, inoltre, terminare gli accordi bilaterali in essere. Ritiene che l’UE abbia prodotto molti effetti positivi per l’Europa, sul piano politico ed economico. «Ma non desidero che si partecipi al progetto politico dell’UE, perché i sistemi politici e le loro istituzioni in Europa e in Svizzera sono semplicemente troppo diversi.» Baltensperger conclude, infatti, che non li ritiene compatibili.

28. febbraio 2022

Il nuovo orientamento del Consiglio federale è corretto

Il 25 febbraio 2022, il Consiglio federale ha respinto chiaramente un «accordo quadro 2.0», cosa che autonomiesuisse accoglie con favore. Ci sono vantaggi nel proseguire il percorso bilaterale e disciplinare le questioni istituzionali – come l’adozione dinamica dei diritti e la composizione delle controversie – con l’UE nei vari accordi specifici sul mercato interno, come ha intenzione di fare il Consiglio federale. Per approfittare delle opportunità, tuttavia, ci sono alcuni punti da considerare:

in caso di adozione dinamica dei diritti, è necessario prevedere la possibilità di opting-out secondo le regole dell’OMC. La risoluzione delle controversie deve avvenire in comitati bilaterali, nonché dinanzi a un tribunale arbitrale neutrale. Bisogna rinunciare alle ghigliottine. L’accordo di libero scambio deve rimanere in vigore indipendentemente dalle nuove regole. Parallelamente ai negoziati, la Svizzera deve svolgere i suoi compiti a casa. Tra questi, rientrano l’avvio dell’autosufficienza energetica, l’abbattimento degli ostacoli burocratici e la conclusione di nuovi accordi di libero scambio. Vanno perseguiti anche altri accordi di ricerca. Vale la pena considerare l’introduzione del principio «Cassis de Dijon-plus» per promuovere il commercio. Laddove, nonostante tutto, i colloqui con l’UE non producessero risultati, il Consiglio federale dovrebbe proporre all’UE un moderno accordo di libero scambio, paragonabile al CETA tra l’UE e il Canada.

02. febbraio 2022

Economiesuisse: «La Confederazione deve valutare un’azione legale contro l’UE»

Dalla fine dell'accordo quadro, l’UE sta dimostrando di essere creativa quando si tratta di discriminare la Svizzera. Ad esempio, rifiuta di riconoscere ai prodotti svizzeri del settore medtech la sua certificazione. Ed esclude la Svizzera dal programma di ricerca Horizon Europe, mentre permette a Paesi come la Tunisia di partecipare. Per evitare queste provocazioni, il Consiglio federale confida nel dialogo con l’UE. A questo scopo, vuole concedersi due anni per analizzare la situazione – un periodo troppo lungo, come avverte il presidente di economiesuisse Christoph Mäder nel quotidiano «Blick». Egli inasprisce i toni nei confronti dell’UE. Se l’UE si rifiuta di applicare gli accordi esistenti, «vanno valutate e attuate delle misure giuridiche», dichiara in un documento di Economiesuisse. Nel concreto, l’associazione chiede alla Confederazione di sostenere le aziende che vogliono difendersi dalla discriminazione. Oppure la Confederazione deve citare l’UE direttamente dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) o dinanzi all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). L’associazione mantello dell’economia, inoltre, esige dal governo una strategia chiara: se intende proseguire il percorso bilaterale, è necessario risolvere le questioni aperte riguardanti la libera circolazione delle persone, l’adozione dei diritti e la risoluzione delle controversie. Se il governo non vede soluzioni possibili, deve elaborare un’alternativa come, ad esempio, perseguire un accordo di libero scambio.

Questo avvicina Economiesuisse alle posizioni per le quali autonomiesuisse ha preparato il terreno. Nella prospettiva di un «pacchetto globale» con l’UE, autonomiesuisse, in una tavola rotonda con il presidente della Confederazione Ignazio Cassis, il 31 gennaio 2022, aveva evidenziato la necessità, ad esempio, di comitati misti e di un tribunale arbitrale neutrale senza il coinvolgimento della Corte di giustizia dell’Unione europea per la composizione delle controversie. L’adozione automatica del diritto comunitario comprometterebbe la competitività della Svizzera. Pertanto, si potrebbe considerare solamente l’adozione dinamica dei diritti con un equo opting-out secondo le regole dell’OMC. Per quanto riguarda la libera circolazione delle persone, non si dovrebbe applicare l’adozione dinamica dei diritti – e sicuramente non la Direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE. Diversamente, la prosecuzione dello status quo avrebbe più senso per il modello di successo svizzero rispetto all’integrazione istituzionale nell’UE. In questo caso, autonomiesuisse predilige un rapporto con l’UE che si fondi su un moderno accordo di libero scambio come il CETA tra il Canada e l’UE.

20. gennaio 2022

L’economia tedesca si rammarica per il gelo tra l’UE e la Svizzera

Quando il presidente della Confederazione nonché ministro degli affari esteri Ignazio Cassis arriva a Berlino il 20 gennaio 2022, viene sorpreso da un leggero vento in poppa che spira da una direzione inaspettata. Con una presa di posizione scritta, la Federazione dell’industria tedesca (Bundesverband der Deutschen Industrie, BDI) mostra infatti l’importanza delle relazioni economiche tra la Germania e la Svizzera. Come riportato in una relazione preliminare della NZZ, gli esponenti del mondo economico vedono delle soluzioni pragmatiche per molte delle divergenze tra i partner. La BDI lamenta che, dopo l’interruzione dei negoziati per un accordo quadro, siano già sopravvenute notevoli perturbazioni economiche. In considerazione della dinamica europea, occorre evitare «danni strategici». Secondo la BDI, l’opinione pubblica tedesca sottovaluta gli intrecci economici tra le imprese tedesche e svizzere. L’economia tedesca esorta entrambe le parti a riprendere rapidamente delle trattative costruttive e mette in discussione l’operato della Commissione europea rispetto, per esempio, all’esclusione della Svizzera dal programma di ricerca Horizon. Caldeggia inoltre il ripristino dell’equivalenza borsistica e una collaborazione in termini di approvvigionamento elettrico nell’ottica del Green Deal e di una trasformazione sostenibile. Nel complesso, questo documento a favore di un’«agenda positiva» indica che, rispetto ai rapporti tra Svizzera e UE, l’economia tedesca adotta una posizione pragmatica, identificando dei campi di azione in linea con quelli ad esempio di autonomiesuisse.

09. gennaio 2022

Verbale del Consiglio federale: «Sulla strada verso lo stato coloniale»

Nella campagna referendaria del 1992 sullo Spazio economico europeo (SEE), il Consiglio federale ha implorato l’elettorato di aderire. Per la Svizzera procedere da sola sarebbe stata un’illusione. Dopo un periodo di protezione di 30 anni, il centro di ricerca «Documenti diplomatici svizzeri» ha pubblicato verbali, appunti e promemoria precedentemente segreti – rivelando ciò che il Governo pensava veramente. Il «SonntagsZeitung» ha analizzato i suddetti documenti. C’era solo un punto su cui i consiglieri federali erano d’accordo: valutavano all’unanimità il SEE come un trattato miserabile.

I consiglieri federali Arnold Koller e Adolf Ogi erano già irritati all’epoca dalle dichiarazioni pubbliche dei responsabili dei negoziati. L’allora presidente della Confederazione e ministro dell’interno Flavio Cotti descrive i negoziati come «una successione ininterrotta di delusioni». Il ministro delle finanze Otto Stich ha affermato che il SEE rappresenterebbe «una satellizzazione della Svizzera». Arnold Koller si è lamentato che il pubblico ha avuto «l’impressione che la Svizzera sia stata massacrata a tranche». E Kaspar Villiger afferma: «Stiamo procedendo verso la strada di uno stato coloniale con statuto di autonomia.» Le proposte della CE sarebbero «da considerare come impertinenti e addirittura da qualificare come indegne della Svizzera». Procedere da soli sarebbe «meglio di questo SEE».

L’allora consigliere nazionale Christoph Blocher ha contestato il trattato con parole simili. Cotti considerava il SEE inaccettabile, ed è per questo che voleva giocarsi il tutto per tutto – proponendo immediatamente l’adesione alla Comunità Europea (CE). Dopo una «discussione generale», il Consiglio federale decide «senza votazione» di dire di sì al SEE. Il consigliere federale René Felber lancia la bomba: «Per il Consiglio federale, questo trattato è una tappa sulla strada (…) verso la piena integrazione della Svizzera nella CE.» Otto Stich si lamenta nella sua autobiografia: «Una decisione di così ampia portata come la domanda di adesione all’UE viene adottata in una breve sessione mattutina – senza un ordine del giorno e senza una motivazione scritta!» Il 6 dicembre 1992, il popolo ha respinto il trattato SEE. Tutti gli scenari apocalittici si sono rivelati uno spettro. Nonostante il No al SEE, tuttavia, i legami con l’UE sono più stretti che mai.

autonomiesuisse afferma: Gli episodi degli anni ‘90 denotano paralleli sorprendenti con i negoziati falliti per l’accordo quadro respinto con l’UE.

23. dicembre 2021

L’imperativo del momento: un team di negoziazione forte e tempo al tempo

Per trovare una buona soluzione per regolare i suoi rapporti con l’UE, la Svizzera deve darsi tempo, scrive nella NZZ il Prof. Dr. Giorgio Behr, presidente del Behr Bircher Cellpack BBC Group e co-presidente di autonomiesuisse. Benché l’analisi debba essere effettuata con rapidità, per il prossimo negoziato bisogna dare tempo al tempo. Siccome le trattative potrebbero andare a monte, la Svizzera dovrebbe prepararsi a vivere anche senza una «nuova soluzione» con l’UE. Secondo Behr, la Svizzera – indipendentemente dalle procedure nella UE e con l’UE – deve iniziare a migliorare la propria situazione su tre importanti fronti: mercato energetico, accordi di ricerca e riconoscimento reciproco delle autorizzazioni. Per le autorizzazioni dei prodotti nell’UE, la soluzione per Behr è semplice: con una società affiliata nell’UE, l’organo di omologazione elvetico potrebbe certificare i prodotti applicando la stessa procedura per l’UE e la Svizzera. Per le trattative serve un gruppo di lavoro forte, rimarca Behr, evitando azioni individuali da parte dei singoli dipartimenti. E chiede un team negoziale permanente che insista su tre punti: nessuna attuazione automatica del diritto UE, un vero tribunale arbitrale in caso di controversie, un dare e avere in molte questioni. Allo stesso tempo, i contributi di coesione potrebbero proseguire in una misura negoziabile. «Siamo tutti chiamati ad agire coesi durante le trattative, senza colpire alle spalle il team di negoziazione o il Consiglio federale», conclude Behr.

06. dicembre 2021

Perché la Svizzera ha una linea di pensiero diversa rispetto a quella dell’Ue?

Per costruire il rapporto della Svizzera con l’Unione europea occorrerebbe semplicemente farsi guidare dalla ragione: ciò è quanto rivendicano molti uomini e donne della politica. Oliver Zimmer, professore di storia presso l’University of Oxford e dal 1o gennaio 2022 Research Director dell’istituto di ricerca CREMA di Zurigo, spiega alla NZZ perché questa rivendicazione è ingenua. A suo avviso è impossibile «individuare i motivi delle diverse istituzioni e sensibilità politiche che si sono venute a creare in Europa, senza prendere in considerazione il concetto di mentalità». Le cause alla radice del divario tra l’Ue e la Svizzera sono da ricercare nella storia. Di fatto, in Svizzera il nation building funziona in modo sostanzialmente diverso da quello dei Paesi limitrofi. Il modello centralista à la française si contrappone allo schema anarchico della Confederazione. Nel primo «lo Stato funge da custode della verità e ha una missione civilizzatrice nei confronti dei suoi cittadini». Basti pensare che il politico e teorico di stato Emmanuel Joseph Sieyès (1748–1836) riteneva che le autonomie locali fossero «un segno di arretratezza». Al contrario, nel processo di nation building di stampo anarchico, lo Stato si costituisce dal basso verso l’alto. L’entità che ne deriva è priva di «eleganza geometrica», scrive Zimmer. Da fuori ha un aspetto disordinato, ecco perché alcuni la definiscono «frammentaria». Questo è il motivo per cui lo storico Herbert Lüthy ha affermato che la mentalità della Svizzera «è più facilmente comprensibile a un congolese, che considera la sua tribù o il suo paese al centro del mondo, che a un vicino di casa francese». Ad ogni modo in passato i Cantoni Vallese, di Ginevra e di Neuchâtel hanno scelto la Svizzera (e non la Francia o l’Italia). Zimmer conclude ipotizzando che la versione arcaica della Confederazione abbia generato più modernità di quanto non lo abbiano fatto i brillanti filosofi dello stato. «Lo spirito e la realtà del modello centralista non promuovono il progresso bensì lo ostacolano.»

Un consiglio di lettura (in tedesco):

Oliver Zimmer, Wer hat Angst vor Tell? Unzeitgemässes zur Demokratie, Echtzeit Verlag, 2020 (n.d.T.: Chi ha paura di Guglielmo Tell?)

30. novembre 2021

Rudolf Strahm sostiene un accordo globale di libero scambio invece di un accordo quadro

Mentre l’UE sa cosa vuole dalla Svizzera, quest’ultima agisce ancora senza un piano per quanto concerne la politica estera. Il consigliere federale Ignazio Cassis è andato a Bruxelles a mani vuote ed è altrettanto tornato a mani vuote. Rudolf Strahm, l’ex sorvegliante dei prezzi ed ex consigliere nazionale, propone ora un duplice approccio al Consiglio federale nei giornali Tages Anzeiger e Bund. Da un lato, la Svizzera dovrebbe elaborare proposte di cooperazione con l’UE. Dall’altro, dovrebbe approfondire le relazioni con gli Stati terzi. Per quanto riguarda il rapporto con l’UE, Strahm lancia un «appello agli economisti politici e ai funzionari delle associazioni di tutti i settori: studiate e valutate l’accordo CETA e ulteriori alternative!». Oltre alle questioni commerciali, l’accordo CETA tra l’UE e il Canada comprende anche i servizi, gli investimenti e la tutela ambientale; così come un vero tribunale arbitrale paritetico senza una Corte di giustizia europea. Inoltre, esclude la libera circolazione delle persone e contiene un meccanismo di riconoscimento dinamico e reciproco delle norme. Un tale accordo, come scrive Strahm, potrebbe «completare» gli accordi bilaterali e settoriali vigenti. Oltre a ciò, raccomanda cooperazioni settoriali con l’UE, come gli accordi di compensazione dell’energia elettrica con i Paesi limitrofi e un aggancio al programma di ricerca Horizon. Nota bene: Già un anno fa, autonomiesuisse aveva indicato il CETA quale alternativa moderna a un accordo quadro nel suo documento programmatico.

14. novembre 2021

Sondaggio: i vicini dell’UE vorrebbero più Svizzera

Le richieste della Commissione UE alla Svizzera danno l’impressione che gli stati dell’UE non siano ben disposti nei confronti del nostro Paese. Le cose cambiano completamente, però, quando si interpella la gente dei Paesi vicini. Questo è esattamente quanto ha fatto l’Istituto di ricerca sulle opinioni GfS Bern, per conto di Luzius Meisser, fondatore della Bitcoin Association Switzerland e co-presidente di autonomiesuisse. Il risultato è chiaro, come scrive anche il settimanale «NZZ am Sonntag»: il 90 percento delle persone intervistate in Svizzera è soddisfatto o molto soddisfatto del nostro sistema politico. Nei Paesi vicini, questo avviene solo per metà. Il 44 percento è abbastanza o addirittura molto insoddisfatto del sistema UE. Per quanto riguarda la codeterminazione, in Svizzera esprime soddisfazione il 93 percento delle persone, mentre lo fa solo il 48 percento in Austria, Germania, Francia e Italia. In Svizzera la soddisfazione nei confronti delle nostre regole è pari all’87 percento, nell’UE solo al 48 percento. Infine, il 77 percento delle persone intervistate in Svizzera esprime soddisfazione in merito ai risultati della politica. Nei quattro stati dell’UE, invece, una sottile maggioranza – il 51 percento - è abbastanza o molto insoddisfatta di ciò che il governo di Bruxelles sta realizzando. Il 75 percento dei cittadini e delle cittadine dei nostri Paesi vicini vorrebbe che l’UE introducesse maggiori possibilità di codecisione, sul modello svizzero. La conclusione? autonomiesuisse ritiene che non sia la Svizzera a doversi allineare all’UE, bensì l’UE alla Svizzera.

20. ottobre 2021

Medtech: la Svizzera non può farsi male da sola

Sei mesi fa l’UE ha declassato la Svizzera a Paese terzo e Swiss Medtech ha colto l’occasione per tastare il polso del proprio settore. La diagnosi è che le aziende svizzere sono in salute sotto il profilo delle esportazioni. Soltanto 54 produttori hanno problemi di export, perché la Commissione Europea non riconosce più l’ente di certificazione svizzero SQS (sono in atto dei ricorsi in merito). Le cose vanno diversamente sul fronte delle importazioni dall’UE. In questo comparto la burocrazia svizzera è peggiore di quella dell’UE? «Con gli ostacoli alle importazioni creati a livello interno, la Svizzera mette in pericolo l’assistenza sanitaria della propria popolazione», sostiene con preoccupazione Swiss Medtech esortando la Confederazione a modificare entro fine anno l’Ordinanza relativa ai dispositivi medici. «Poco importa che si tratti di tecnologia medica o energia: prima dei negoziati con l’UE la Svizzera deve svolgere i suoi compiti a casa e rafforzare la propria posizione», sottolinea il Prof. Dott. Giorgio Behr, imprenditore del BBC Group e co-presidente di autonomiesuisse. Behr raccomanda di incrementare in modo significativo le capacità di produzione di energia elettrica, poiché quest’ultima sta diventando in tutta Europa una risorsa limitata. Inoltre consiglia di occuparsi adeguatamente della situazione delle 54 imprese medtech in difficoltà. Tuttavia non ritiene opportuno farsi prendere dal panico per l’assistenza sanitaria. «Per l’importazione di dispositivi medici UE abbiamo bisogno di una soluzione efficace. Parallelamente, dovremmo testare e incentivare alternative da altre aree del mondo», suggerisce Behr. Secondo il co-presidente, sin dall’Antica Roma nel commercio si è affermato il principio del «do ut des» («io do affinché tu dia»): «anche la Svizzera dovrebbe continuare a seguirlo».

15. ottobre 2021

Autonomiesuisse si aggiudica il Liberal Award 2021

Con nostra sorpresa, ad autonomiesuisse viene riconosciuta un’alta onorificenza: i Giovani liberali radicali del cantone di Zurigo le conferiscono il 22° Liberal Award. «Dalla sua fondazione nel giugno del 2020 da parte del Dott. Hans-Jörg Bertschi, del Dott. Hans-Peter Zehnder e del Prof. Dott. Martin Janssen, autonomiesuisse si adopera per preservare una Svizzera autonoma e sovrana», scrivono i Giovani liberali radicali del cantone di Zurigo. I giovani politici elogiano il fatto che autonomiesuisse abbia elencato «sette motivi per un accordo quadro migliore» – non solo quelli presi in considerazione dalla maggior parte dei parlamentari. L’accordo quadro avrebbe costituito «una spina nel fianco» per molti liberali. Il Liberal Award sarà conferito ad autonomiesuisse il 25 novembre 2021 alla Zunfthaus zur Saffran – con la consegna di una statua di bronzo dell’artista zurighese Max Zuber. La cerimonia di premiazione inizierà alle 18:30 e sarà aperta al pubblico con partecipazione gratuita. autonomiesuisse considera il premio una conferma del suo impegno per una Svizzera aperta al mondo, libera e vincente. Sostiene la Svizzera nel miglioramento delle condizioni quadro interne e nella ricerca di accordi di libero scambio con altri partner commerciali. In un nuovo documento programmatico, autonomiesuisse definisce otto campi d’azione in cui la Svizzera dovrebbe attivarsi per condurre il suo modello di successo verso il futuro. Nel sito web i punti sono spiegati in modo semplice.

05. ottobre 2021

Ricerca: lo scambio mondiale batte la burocrazia dell’UE

Mentre la Svizzera intende tenere buona l’UE pagando il miliardo di coesione, questa continua a seguire imperterrita la sua «politica di punzecchiamento». Ad esempio, alle scuole universitarie elvetiche addolora il fatto che l’UE abbia dato alla Svizzera lo stato di «Paese terzo non associato» al programma di ricerca «Horizon Europe», mentre ha riconosciuto ad esempio l’Armenia, la Georgia e la Tunisia come Paesi terzi associati. Il Prof. Dr. Martin Janssen, copresidente di autonomiesuisse e CEO del gruppo Ecofin, analizza la situazione nella rivista «Schweizer Monat» mantenendo un atteggiamento più pacato di swissuniversities: «Come ricercatori non vogliamo avere niente a che fare con la burocrazia, che nell’UE diventa sempre più grande e ostacola la ricerca. Vorremmo avere la possibilità di costruire una rete di relazioni con i migliori ricercatori del pianeta...». La ricerca vive dello scambio con le migliori menti del mondo. La Svizzera non si deve differenziare e specializzare solo nell’economia, ma anche nella ricerca. Essendo un’eccellenza nella ricerca, dovrebbe giocare in modo mirato la carta dello scambio internazionale. Potrebbe anche ritornare a «Horizon Europe», ma a quel punto c’è bisogno che l’UE si impegni a prendere le distanze da «giochetti e tentativi di fare pressione sui ricercatori».

28. settembre 2021

Eurodeputato: «Stiamo facendo un autogol»

Dopo la fine dell’accordo quadro, l’UE non permette alla Svizzera di partecipare al suo programma di ricerca «Horizon Europe». Lukas Mandl, relatore per la Svizzera presso il Parlamento europeo, ritiene che questo sia «completamente sbagliato», come riferisce al «Tages-Anzeiger»: «Per l’UE questo è un autogol. La Svizzera è un leader mondiale nella ricerca. Sarebbe importante avere la Svizzera come punto di riferimento.» A suo avviso, l’Europa rischia di perdere il contatto con la ricerca più avanzata e di diventare un continente dedito al consumo. È critico su come Bruxelles «si perde nelle minuzie e blocca la Svizzera». Mandl rimane comunque fiducioso: «Ci si sta rendendo conto anche a Bruxelles che non è stato saggio escludere la Svizzera da Horizon.»

20. settembre 2021

Il consigliere federale Ignazio Cassis ed economiesuisse criticano l’UE

In occasione della «Giornata dell’economia» l’organizzazione mantello economiesuisse rende note ogni anno le proprie posizioni. Il presidente di economiesuisse Christoph Mäder ha sfruttato la sua prima partecipazione a questo evento per esprimersi a favore di una «economia di mercato liberale e sostenibile». Più sorprendenti, tuttavia, sono state le parole del giurista sulle relazioni tra la Svizzera e l’UE. Mäder ha criticato le «misure inaccettabili e illegittime dell’UE» che «puniscono» la Svizzera trattandola peggio della Turchia o dell’Ucraina, come hanno commentato i giornalisti Markus Somm e Dominik Feusi nel podcast «Bern einfach» della rivista «Nebelspalter». Anche il consigliere federale Ignazio Cassis è intervenuto nel corso della giornata, esortando la Commissione europea a rispettare gli accordi con la Svizzera. Il politico ha dichiarato di aver sostenuto l’accordo quadro, ma come riporta la «Nebelspalter», ha aggiunto quanto segue: «Tuttavia devo riconoscere che il vincolo è troppo forte, i punti di contatto troppo limitati e il prezzo troppo alto». Cassis ha affermato che il collegamento dell’accordo quadro con altri aspetti come quello della ricerca è «inadeguato e controproducente» e che sente spesso dire che la Svizzera ha un atteggiamento da «cherry picker», confutando però questa tesi visto il deficit di bilancio commerciale di 25 miliardi. Il consigliere federale ha comunque ammesso che la Svizzera ha anche fatto qualche errore nei negoziati, una critica chiaramente indirizzata al suo predecessore Didier Burkhalter e al relativo Segretario di Stato Yves Rossier, sottolineando che la Svizzera deve dire con decisione cosa vuole. A suo giudizio, tuttavia, l’UE dovrebbe anche chiedersi in che modo intenda rendere l’Europa geopoliticamente forte se non è in grado di collaborare con Paesi affini.

15. settembre 2021

Il settore medtech lancia un segnale di cessato allarme

Da fine maggio l’Unione europea non riconosce più l’equivalenza della legislazione svizzera in materia di dispositivi medici – in violazione di tutti i precedenti accordi. Ecco perché la «NZZ» aveva avvertito il settore che il rifiuto dell’accordo quadro avrebbe comportato conseguenze immediate. Il rischio sarebbe un trasferimento dei posti di lavoro nell’UE. Ma nella rivista «Nebelspalter» Alberto Siccardi, presidente di Medacta, un’azienda produttrice di protesi di ginocchio e d’anca con 1200 collaboratori, avanza un’obiezione: «A medio e a lungo termine, l’accordo quadro avrebbe comportato soltanto un peggioramento delle condizioni quadro qui in Svizzera.» Secondo l’associazione di categoria Swiss Medtech, soltanto un dispositivo su dieci non è ancora certificato nell’UE. SQS, l’unico organismo di certificazione rimasto in Svizzera, con clienti di piccole e medie dimensioni, ha fatto osservare che non sono mai stati segnalati blocchi dei prodotti alla frontiera. SQS intende aprire una filiale a Costanza, al fine di emettere certificazioni per il settore di tecnologia medica. A sua volta, Medacta due anni fa ha deciso di far certificare i propri dispositivi direttamente nell’UE secondo la nuova regolamentazione. Il gruppo collabora con diversi organismi di certificazione UE. Infatti, gli manca soltanto un rappresentante sul territorio dell’Unione; ma trovarlo non sarà un problema, perché nell’UE ce ne sono tanti. Non importa su quale mercato l’impresa operi: una certificazione comporta sempre dei costi che vanno calcolati.

18. agosto 2021

Nuova analisi: questi sono i veri motivi per la fine dell’accordo quadro

Da quando il Consiglio federale ha deciso di non firmare l’accordo quadro con l’UE, i rappresentanti dell’UE non hanno perso l’occasione di fare pressione sulla Svizzera. autonomiesuisse ritiene perciò importante non intraprendere azioni affrettate, bensì considerare sobriamente le ragioni del rifiuto dell’accordo. A questo proposito, il Dr. iur. Richard Wengle, membro di autonomiesuisse, ha scritto una nuova analisi in una forma facilmente comprensibile. Questa dimostra che le tanto discusse questioni controverse come la protezione dei salari, la direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE e la Corte di giustizia dell’Unione europea rappresentavano solo la punta dell’iceberg. I problemi centrali dell’accordo risiedevano nell’organizzazione unilaterale dell’accordo stesso a favore dell’UE, nei rischi dell’adozione «dinamica» dei diritti e nell’incertezza giuridica derivante dalle numerose lacune presenti nell’accordo. Inoltre, le conseguenze delle norme UE sugli aiuti di Stato assomigliavano a un «vaso di Pandora». L’analisi rivela inesorabilmente che le restrizioni alla democrazia sarebbero andate ben oltre quanto discusso politicamente e pubblicamente. Per far conoscere i risultati a un vasto pubblico, autonomiesuisse ha rilasciato un comunicato stampa. L’intero studio è ora disponibile gratuitamente su: www.dokustelle-rahmenabkommen.ch.

26. luglio 2021

Il settore medtech capovolge la situazione: le misure dell’UE non sono ammissibili

Non appena il Consiglio federale ha fatto saltare l’accordo quadro con l’UE, l’Unione europea è subito tornata alla carica. Lo stesso giorno quest’ultima ha disposto l’invalidità della certificazione svizzera per i prodotti di tecnologia medica. In Svizzera esistono circa 350 aziende attive nel settore medtech. Finora sono 54 le ditte colpite dalla modifica della prassi imposta dall’Unione europea e che adesso si dovranno ricertificare per poter esportare nell’UE anche in futuro. Ma il settore di tecnologia medica, anziché lamentarsi, ha deciso di prendere in mano la situazione, come spiega il Tages-Anzeiger. Dopo aver consultato l’associazione di categoria Swiss Medtech, Medtech Europe ha incaricato lo studio legale Sidley Austin di eseguire una perizia. Ed ecco qua che questa ha messo a nudo una violazione da parte dell’UE delle normative vigenti su addirittura tre fronti; la decisione dell’Unione europea violerebbe infatti il diritto comunitario nonché il diritto dell’OMC e lo specifico accordo sull’abolizione degli ostacoli tecnici al commercio («Mutual Recognition Agreement», MRA) nel settore medtech. Per di più, l’Unione europea non ha mai annullato l’MRA. I legali suggeriscono quindi di intraprendere un’azione legale contro le misure dell’UE. Il Consiglio federale avrebbe diverse possibilità per intervenire contro il discutibile comportamento dell’Unione europea, ha spiegato Daniel Delfosse di Swiss Medtech, come riportato nell’articolo della stampa. Il settore inoltre mira a non limitarsi semplicemente ad accettare la decisione dell’UE (anche in vista di future decisioni che potrebbero colpire altri settori dell’economia). Secondo Delfosse la perizia eseguita ha già dimostrato la sua efficacia: «La Commissione europea ha dato istruzioni ai suoi Stati membri di non trattenere più i prodotti svizzeri alla dogana.»

13. luglio 2021

Aperta al mondo o eurofila – questa è la vera domanda

Dopo la fine dell’accordo quadro arriva la prossima discussione politica. L’UE vuole mantenere la pressione sulla Svizzera con il suo boicottaggio dell’accordo sugli ostacoli tecnici al commercio, scrive Dominik Feusi nella rivista «Nebelspalter». I sostenitori dell’UE stanno usando questo per la loro campagna propagandistica. Allo stesso tempo «qualsiasi miglioramento, per quanto piccolo, delle condizioni quadro in Svizzera» porterà all’economia svizzera, soprattutto anche alle PMI, più di qualunque cosa che l’UE abbia mai promesso. L’ambasciatore dell’UE Petros Mavromichalis è andato dritto al punto: la Svizzera può scegliere solo tra l’adesione all’UE, l’adesione allo SEE e fondamentalmente gli stessi accordi quadro. In alternativa vi sarebbe solo il libero scambio. Perché per l’UE la via bilaterale è finita, come constata Feusi: o la Svizzera «si concentra sul mercato interno dell’UE o rimane aperta al mondo». Questo significherebbe che potrebbe avere più senso rifinire le condizioni quadro nazionali per essere competitivi a livello globale, piuttosto che concentrarsi unilateralmente sulle vendite nell’UE. Allora però non dovremmo, come propone il Consiglio federale, «adottare le norme UE come riserva per avere condizioni quadro ugualmente peggiori come nell’UE, ma deliberatamente regolamentare meno e meglio per rimanere competitivi a livello globale.»

23. giugno 2021

L’accordo quadro non avrebbe alcuna possibilità alle urne

Il Consiglio federale ha negoziato l’accordo quadro con l’UE senza una votazione popolare – e poi lo ha affondato. Un sondaggio condotto dall’istituto di ricerca sociale e di mercato Link su 1386 persone ha rivelato che una grande parte delle svizzere e degli svizzeri è favorevole alla decisione del Consiglio federale. L’attuale accordo quadro non è stato in grado di ottenere la maggioranza dei consensi, come riferisce il «Blick». Poco meno della metà degli intervistati (49%) accoglie con favore il fatto che il Governo abbia interrotto i negoziati con Bruxelles. Solo il 33% se ne rammarica. In una votazione popolare, solo il 26% avrebbe approvato l’accordo, mentre il 43% avrebbe detto di no. Colpisce il fatto che circa una persona su tre non sapesse come rispondere. Secondo il co-autore dello studio Georg Lutz, professore di politica all’Università di Losanna, questo dimostra che, in una tematica così complessa, la popolazione è incerta. Sorprendono i risultati così evidenti, soprattutto perché un sondaggio dell’istituto di ricerca GFS Bern aveva rivelato che il 64% sarebbe stato a favore del trattato. A cosa si deve questa clamorosa differenza? Allora, l’istituto di ricerca, in linea con i dettami del suo cliente Interpharma, aveva formulato domande vaghe e suggestive che si soffermavano esplicitamente sugli aspetti positivi dell’accordo quadro, nascondendo però gli aspetti che il Consiglio federale criticava.

03. giugno 2021

Prof. Dott. Giorgio Behr: «Reculer pour mieux sauter»

L’accordo quadro con l’UE è saltato. Ne conseguono delle opportunità per l’economia svizzera? Questa domanda è stata posta in diretta da un ascoltatore del programma «Forum» su Radio DRS 1 il 3 giugno. L’ospite in studio, il Prof. Dott. Giorgio Behr, presidente del CdA di Behr Bircher Cellpack BBC, presidente dell’associazione industriale di Sciaffusa e co-presidente di autonomiesuisse, ha risposto affermativamente: «Più importanti di un accordo quadro con l’UE sono le condizioni quadro della Svizzera. Adesso abbiamo la possibilità di analizzare accuratamente la situazione di partenza e trovare soluzioni lungimiranti per la collaborazione con l’UE e con altre aree economiche.» È come nello sport: bisogna prepararsi affinché il salto avvenga con successo – «reculer pour mieux sauter». Behr ha inoltre chiarito alcuni malintesi. Per esempio, il nuovo regolamento UE sui dispositivi medici (MDR) interesserebbe non solo le aziende svizzere, ma anche quelle dell’UE. Inoltre, i requisiti per le ammissioni in un mercato spesso non sarebbero affatto stabiliti dallo stato, bensì da comitati normativi composti da rappresentanti dell’industria. L’interlocutrice di Behr, Kathrin Amacker, presidente di Regio Basiliensis e membro di progresuisse, ha ammesso che «sarebbe positivo se ci fossero più possibilità per la Svizzera di plasmare il futuro». Nel 60% dei casi, la Svizzera oggi si limiterebbe a recepire il diritto dell’UE.

26. maggio 2021

La fine dell’accordo quadro apre nuove prospettive

autonomiesuisse approva la decisione del Consiglio federale di interrompere i colloqui con l’UE relativi all’accordo quadro. In un comunicato stampa, autonomiesuisse sostiene che l’accordo quadro unilaterale avrebbe violato i principi di sincerità e correttezza. La fine dell’accordo quadro, decretata dal Consiglio federale, limita innanzitutto i danni – ma non solo: offre altresì la possibilità di migliorare ulteriormente le condizioni quadro per l’economia svizzera e di riportare i rapporti con l’UE su un piano di parità. autonomiesuisse ritiene che la sovranità della Svizzera sia indispensabile per assicurare e aumentare il benessere di chiunque vi abita. È auspicabile concludere accordi equi con tutti i partner commerciali forti – come l’UE, gli USA e la Cina – che rendano possibile una situazione «win-win». Per contro, sarebbe un errore strategico mettersi alla mercé di uno di questi partner. autonomiesuisse è pronta a tutelare il punto di vista delle medie imprese, che rappresentano la maggior parte dei posti di lavoro in Svizzera, nella discussione politica europea.

10. maggio 2021

The Somm Podcast con Hans-Jörg Bertschi: «Gli allarmismi ci allontanano dalla realtà»

Chi firmerebbe un contratto che comprenda il contratto di affitto, il contratto di lavoro, il contratto ipotecario e altri contratti? Praticamente nessuno – afferma il Dott. Hans-Jörg Bertschi, presidente del CdA del Bertschi Group e co-presidente di autonomiesuisse, durante «The Somm Podcast» con il caporedattore della «Nebelspalter» Markus Somm. È proprio questo collegamento di contratti/trattati con una clausola ghigliottina a contraddistinguere l’accordo quadro con l’UE. «In qualità di imprenditore, non ho mai visto un contratto così unilaterale», puntualizza Bertschi. Elencherebbe quasi esclusivamente i doveri della Svizzera e i diritti dell’UE. «L’accordo quadro ci è stato presentato come se fosse solo una cornice intorno agli accordi bilaterali. Così facendo, stravolgerebbe il nostro rapporto con l’UE», sottolinea Bertschi. Comporterebbe infatti un’integrazione parziale nell’UE – e quindi una perdita di autonomia. E l’argomento addotto dai sostenitori, secondo cui gli accordi bilaterali, in mancanza di un accordo quadro, potrebbero essere «compromessi»? Bertschi lo ritiene «un allarmismo molto lontano dalla realtà». Gli accordi bilaterali sarebbero di interesse vitale per l’UE. Inoltre, la Svizzera godrebbe anche di un accordo di libero scambio. Negli ultimi 20 anni, sarebbero aumentate le esportazioni verso la Germania, ma quelle verso gli Stati Uniti sarebbero aumentate ancora di più – sebbene la Svizzera non abbia alcun accordo con gli Stati Uniti.

02. maggio 2021

La questione europea: l’establishment contro l’ossatura dell’economia

La società svizzera è profondamente divisa sulla questione di come impostare i rapporti con l’UE, a maggior ragione dopo la fase calda del dibattito sull’accordo quadro. Tito Tettamanti, imprenditore, avvocato ed ex Consigliere di Stato ticinese del PPD, analizza i movimenti Progresuisse, Kompass/Europa e autonomiesuisse nel «Corriere del Ticino» concludendo quanto segue: «Da un lato vi è una parte influente dell’establishment nazionale, dall’altro la Svizzera che produce, parti importanti di quella imprenditoria medio-piccola che costituisce l’ossatura della nostra economia (…).» Attraverso una retrospettiva storica, Tettamanti spiega perché la politica europea della Svizzera è stata anche una politica degli equivoci. Definisce la recente comparsa del presidente della Confederazione Guy Parmelin come un «atto di intelligenza politica». Considera, tuttavia, un passo falso e pericoloso che alcuni parlamentari svizzeri vogliano costringere il Consiglio federale a tornare ai negoziati. Ciò acuirebbe la spaccatura nel Paese – e indebolirebbe la posizione della Svizzera nei confronti dell’UE.

29. aprile 2021

Sul piano giuridico, la Frexit è già una realtà

Mentre la Svizzera, con l’accordo quadro, lascerebbe l’ultima parola alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), la Corte suprema amministrativa francese si sta inequivocabilmente opponendo proprio a questo. Secondo la «Nebelspalter», il Conseil d’État insiste sul fatto che la costituzione francese è al di sopra del diritto comunitario e della CGUE. La sentenza chiamata in causa, che riguardava la conservazione dei dati di connessione a Internet, «è uno scandalo per i giuristi che credono nella giurisdizione sovranazionale», scrive la «Nebelspalter». Perché, così facendo, la Francia si aggiunge a una lunga schiera di stati membri dell’UE che hanno difficoltà ad accettare la CGUE. Anche la Germania è uno di questi, quando si tratta di fare i suoi interessi: un anno fa, la Corte costituzionale federale tedesca ha definito una sentenza della CGUE sul programma di acquisti della Banca centrale europea come «arbitraria» e quindi non vincolante. Paul Cassia, professore di diritto all’Università Pantheon-Sorbona, commenta che questa non sarebbe la prima decisione contrastante con il diritto europeo, ma rappresenterebbe una «Frexit» giuridica. Il Conseil d’État avrebbe «deciso apertamente di ignorare il diritto dell’Unione Europea».

26. aprile 2021

L’UE gioca con le carte truccate

Venerdì 23 aprile 2021, il presidente della Confederazione Guy Parmelin ha dichiarato che le differenze tra l’UE e la Svizzera in merito all’accordo quadro sono troppo profonde. Ma quali obiettivi ha effettivamente perseguito il Consiglio federale nei negoziati? Era sempre stato reticente in merito, ripetendo costantemente che si trattava solo della protezione dei salari, della direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE e degli aiuti di stato. E intanto i media criticavano la Svizzera per non aver mai presentato proposte alla Commissione UE. Nel frattempo, si può parlare di «fake news» da Bruxelles, poiché il «Tages-Anzeiger» rende note le richieste del Consiglio federale, e sembra proprio che la Svizzera le abbia comunicate sia oralmente che per iscritto. Quanto agli aiuti di Stato, sembra imminente un accordo tra Berna e Bruxelles. Ma l’UE era disposta a fare concessioni solo «a condizione che prima venissero risolti gli altri due punti». In parole povere, l’UE è stata intransigente: la Svizzera dovrebbe rinunciare alla protezione dei salari e accettare la direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE. Proprio sull’ultimo punto divergono maggiormente le opinioni. La Svizzera ritiene che la libera circolazione delle persone sia limitata ai lavoratori e alle loro famiglie. E invece l’UE vuole imporre il suo concetto di cittadinanza dell’Unione: questo darebbe a tutti i cittadini dell’UE il diritto di soggiorno permanente in Svizzera, compresi i sussidi sociali – anche se non vi hanno mai lavorato. Nonostante le posizioni ampiamente divergenti, la Commissione della politica estera del Consiglio nazionale esorta il Consiglio federale a proseguire i colloqui con Bruxelles. Questo porta autonomiesuisse alla seguente constatazione: sembra che nemmeno i circoli politici entusiasti dell’UE la prendano più in parola. L’UE, infatti, già due anni fa sosteneva che non fossero più possibili altri negoziati in merito all’accordo quadro.

21. aprile 2021

La prima associazione di categoria si oppone all’accordo quadro

Swissmechanic è la prima associazione di categoria ad opporsi ufficialmente all’attuale accordo quadro con l’UE. L’associazione dell’industria metalmeccanica ed elettrica (MEM) rappresenta 1400 piccole e medie imprese con circa 70 000 collaboratori e collaboratrici. In base all’«outing» di Swissmechanic: ampi settori della comunità economica svizzera ritengono più importante la competitività internazionale a lungo termine rispetto ad un guadagno a breve termine in alcuni iter amministrativi nell’UE. Secondo il comunicato stampa di Swissmechanic, l’attuale discussione sull’accordo quadro ruota intorno a considerazioni marginali, mentre viene dimenticato il problema centrale: la fine della sovranità svizzera e il relativo trasferimento del potere a Bruxelles. autonomiesuisse accoglie con favore la chiara presa di posizione di Swissmechanic. Poiché all’associazione di categoria viene probabilmente attribuito un ruolo di «first mover», autonomiesuisse ha espresso un giudizio sulla situazione in un suo comunicato stampa. Ci si può pertanto attendere che anche altre voci del mondo economico si sentano incoraggiate ad impegnarsi per una comunità economica svizzera cosmopolita, vincente e indipendente. Difatti, mentre i comitati economici di autonomiesuisse e Bussola/Europa sono impegnati a contestare l’accordo quadro, quasi nessun rappresentante significativo del mondo economico sosterrebbe tutto ciò.

12. aprile 2021

Il piano B di autonomiesuisse

Chi si oppone all'accordo quadro non avrebbe idea di quale alternativa la Svizzera possa offrire all’UE – questa è una contestazione che i sostenitori fanno spesso. autonomiesuisse ritiene, innanzitutto, di dover aggiungere che molti partner commerciali al di fuori dell’UE apprezzano proprio l’indipendenza della Svizzera. Per loro è difficile capire come mai la Svizzera stia profondendo tanta energia per allinearsi all’UE, piuttosto macchinosa. In ogni caso, autonomiesuisse ha avanzato ora una proposta in un comunicato stampa, che Dominik Feusi riassume così nella rivista «Nebelspalter»: piuttosto che un legame giuridico e politico con l’UE, sarebbe più promettente un accordo globale di libero scambio, che potrebbe coinvolgere anche la ricerca, la formazione, la salute, la sostenibilità e i servizi. Un tale accordo l’UE l’ha concluso con il Canada. Le proposte corrispondono a un documento del think tank di Berna «Forum per la democrazia e i diritti umani» a favore di un «accordo di libero scambio plus», come spiegato nella «Nebelspalter». Vi hanno contribuito anche esponenti di autonomiesuisse. Come gli accordi bilaterali, quello con il Canada garantisce il riconoscimento reciproco delle norme tecniche e degli organismi di prova, nonché l’accesso agli appalti pubblici. A differenza dell'accordo quadro, escluderebbe l’adozione automatica dei diritti, un meccanismo di composizione delle controversie nel quale le decisioni vengano prese dalla Corte di giustizia dell’Unione europea e le clausole ghigliottina. «Inoltre, l’accordo con il Canada contempla disposizioni sulla tutela dei lavoratori e dell’ambiente. La Svizzera persegue un approccio simile con il Regno Unito, da quando è uscito dall’UE», spiega la «Nebelspalter». In quel caso, la Svizzera ha già provveduto con sette accordi a prevenire il deterioramento dei rapporti bilaterali. Ulteriori negoziati sono previsti o in corso. autonomiesuisse intravede, in un accordo alla pari così trasparente, l’opportunità di condurre il modello di successo svizzero verso il futuro. Questo perché l’autonomia politica della Svizzera, i processi democratici diretti e il federalismo – accanto a un partenariato affiatato con l’UE – potrebbero essere mantenuti. Ciò lascerebbe intatti i presupposti per offrire condizioni quadro socio-economiche non uguali, ma addirittura migliori rispetto a quelle dell’UE.

09. aprile 2021

autonomiesuisse chiede al Consiglio federale di non fare promesse affrettate!

In linea con il motto «come lo dico a mio figlio?», la prossima settimana il Consiglio federale ha intenzione di discutere su come il presidente della Confederazione Guy Parmelin ed il consigliere federale Ignazio Cassis il 23 aprile dovranno negoziare con la Commissione UE l’accordo quadro con l’UE stessa. Mancano nuove argomentazioni a favore dell’accordo. A maggior ragione, i sostenitori dell’accordo quadro stanno mobilitando tutte le loro forze per convincere l’opinione pubblica dell’importanza dell’accordo quadro e dell’UE. autonomiesuisse rilascia pertanto un comunicato stampa, rivolgendo un appello al Consiglio federale. L’importante è attenersi ai fatti: il risultato raggiunto nei negoziati non soddisfa le richieste del Consiglio federale. Non chiarisce in modo significativo le questioni di sovranità sollevate da autonomiesuisse. Nel frattempo, con l’uscita della Gran Bretagna l’UE ha perso importanza. Il Consiglio federale deve quindi parlare in modo schietto all’UE, comunicandole che non può portare avanti il presente accordo. Nel farlo, non deve ripetere gli errori del passato. Bisogna evitare impegni e promesse affrettati. Se il Consiglio federale deciderà di rabbonire Bruxelles con un «contentino», sarà il caso di rammentargli che l’UE raggiunge comunque regolarmente un considerevole surplus commerciale con la Svizzera. Serve un nuovo inizio, che la Svizzera deve sfruttare per stabilire la sua posizione.

07. aprile 2021

Cercasi regalo per Bruxelles?

Il nervosismo dei sostenitori dell’accordo quadro con l’UE sta crescendo. Il presidente della Confederazione Parmelin, infatti, ha intenzione di recarsi a Bruxelles il 23 aprile, accompagnato dal consigliere federale Cassis. Non è ancora chiaro se riprenderanno i negoziati, o se sia piuttosto il caso di comunicare cortesemente che la Svizzera non intende firmare l’accordo quadro. autonomiesuisse prevede la seconda opzione. E poi c’è da chiedersi, come sostiene la rivista «Nebelspalter», se la presidente della Commissione dell’UE, Ursula von der Leyen, avrà del tempo da dedicare agli illustri ospiti di Berna. Innanzitutto, sembra essere certo che il ministro degli esteri Ignazio Cassis non vorrebbe confrontarsi con l’UE a mani vuote. Si tratta di «offrire all’UE il miliardo di coesione, e non solo una tantum, ma pagarlo più volte, rendendolo permanente», scrive la «Nebelspalter». Dal punto di vista imprenditoriale, autonomiesuisse ritiene che, se un Paese deve acquistare l’accesso reciproco al mercato, non si può più parlare di «libero scambio». Quando il Consiglio federale ha intrapreso i negoziati sull’accordo quadro, ha fatto delle promesse a Bruxelles che in una votazione popolare sarebbero state respinte. Errori come questo adesso vanno evitati.autonomiesuisse fa appello al Consiglio federale affinché non firmi un accordo quadro che decreterebbe la fine del modello di successo svizzero e del percorso bilaterale. In quanto voce dell’imprenditoria, autonomiesuisse è pronta a contribuire attivamente al nuovo orientamento della politica europea. A tale proposito, autonomiesuisse ha avviato otto gruppi di lavoro tematici, anche di concerto con Bussola Europa. Ciascuno dei due movimenti valuterà autonomamente i risultati e li introdurrà nella discussione politica. La Svizzera può mantenere il suo vantaggio economico solo imponendo la volontà di preservare una certa autonomia, posizionandosi sulla scena internazionale in modo chiaro e sovrano.

27. marzo 2021

Prof. Dott. Giorgio Behr smonta gli argomenti dei sostenitori

«Tutti parlano di svantaggi se si rifiuta il trattato. Ma nessuno sa dirmi esattamente quali sono i lati negativi», afferma il Prof. Dott. Giorgio Behr, presidente del CdA BBC Group e co-presidente di autonomiesuisse al giornale Schaffhauser Nachrichten. Nell’intervista, Behr mostra che gli argomenti dei sostenitori dell’accordo quadro di solito non reggono a un controllo dei fatti. Ad esempio, il Regolamento relativo ai dispositivi medici (MDR) dell’UE non si applica affatto ai fornitori svizzeri, ma solo ai «distributori» che vendono prodotti nell’UE. Lo sforzo iniziale per questo sarebbe certamente grande, ma colpirebbe tutte le imprese dell’UE allo stesso modo. Inoltre, le imprese interessate hanno comunque di solito una società affiliata nell’UE. Behr richiama anche l’attenzione sul preambolo dell’accordo quadro. In esso, l’UE indica come obiettivo la «riduzione delle disparità economiche e sociali tra le sue regioni». «Ridurre le disparità anche con la Svizzera è difficilmente qualcosa che i dipendenti giudicheranno di secondaria importanza – parola chiave: calo dei salari», afferma Behr: «La direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE sarebbe il ‹puntino sulla i›». Pertanto, crede che sarebbe meglio sospendere i negoziati e fare un altro tentativo più avanti.

27. marzo 2021

L’accordo quadro sull’orlo del collasso: tre insegnamenti

Il Consigliere federale Ignazio Cassis potrebbe presto cercare un dialogo sull’accordo quadro con l’UE ai livelli più alti, scrive l’ex diplomatico Paul Widmer nel settimanale NZZ am Sonntag. Non si aspetta molto da esso. Le divergenze sono troppo grandi. Dopodiché Cassis proporrà probabilmente al Consiglio federale in corpore di effettuare un reset completo. «Tuttavia, non si dovrebbe umiliare ulteriormente l’UE con un dibattito spietato in Parlamento e un no popolare», consiglia Widmer: «Ora il compito più urgente della diplomazia è trovare una formulazione rispettosa per l’interruzione.» Dopo l’insuccesso dei negoziati con l’UE, esprime tre requisiti: «Giù le mani da qualsiasi trattato che espanda la sciagurata clausola ghigliottina! Nessuna adozione dinamica dei diritti senza una clausola di salvaguardia praticabile! E nessun trattato che dia alla Corte di giustizia dell’Unione europea la parola decisiva!». Infine, Widmer chiarisce che tutti gli accordi bilaterali continueranno ad essere applicati. Anche l’UE potrebbe essere interessata a nuovi trattati. Tuttavia, dal punto di vista della Svizzera, la loro importanza sta diminuendo. In passato la Germania era il più importante mercato di vendita, ma ora è un testa a testa con gli Stati Uniti. E l’anno scorso le esportazioni verso la Cina hanno superato per la prima volta quelle verso l’Italia e la Francia. Secondo Widmer, la Svizzera dovrebbe esaminare a medio termine anche modelli come un accordo di libero scambio simile al modello canadese. E a lungo termine, non è da dimenticare che il rapporto con l’UE non riguarda solo l’economia, ma anche «uno Stato indipendente».

19. marzo 2021

Abbiamo superato ogni limite

La prima mattina della sua pubblicazione, la rinnovata «Nebelspalter», che mira a coniugare «obiettività e umorismo» sotto la direzione di Markus Somm, analizza una tragedia iniziata nel giugno del 2013. Allora, dopo i primi colloqui con Bruxelles, il Consiglio federale stabilì i suoi «limiti» per i negoziati sull’accordo quadro con l’UE. Tra le altre cose, la Svizzera non avrebbe recepito automaticamente il diritto comunitario, non avrebbe accettato una nuova autorità di controllo e non avrebbe permesso a una corte dell’UE di emettere una sentenza vincolante nei confronti della Svizzera in caso di controversie. Era altresì chiaro che le misure di accompagnamento non si sarebbero potute modificare e che la cittadinanza dell’Unione avrebbe rappresentato un «segnale d’allarme». Anche i partiti definirono delle rigide regole del gioco. Come si presenta il bilancio otto anni dopo? «Deludente», conclude Dominik Feusi nella «Nebelspalter». Tutti i limiti definiti sono stati superati. autonomiesuisse auspica un rapporto di reciproco vantaggio con l’UE, nel quale nessun indicatore «oltrepassi i limiti» – e consiglia di investire nel buon giornalismo, con un abbonamento alla rivista «Nebelspalter».

10. marzo 2021

La querelle dei vaccini: «incredibilmente deluso» dall’UE

Dopo le dispute sui vaccini per il Covid-19 all’interno dell’UE e con la Gran Bretagna, ora è l’Australia a criticare aspramente Bruxelles. Il ministro del commercio Dan Tehan ha protestato contro il «protezionismo vaccinale» dell’EU, come riporta «Blick». Tehan si è detto «incredibilmente deluso» dalla decisione dell’Italia di bloccare l’esportazione di 250 000 dosi di vaccino AstraZeneca destinate all’Australia. Il ministro teme che l’UE possa trattenere anche le prossime forniture. E potrebbe aver ragione, visto che il Segretario di Stato francese per gli Affari europei Clément Beaune ha accolto positivamente il provvedimento, che a suo avviso «mostra che noi europei sappiamo non essere ingenui e difendere i nostri interessi». Dal punto di vista imprenditoriale, tuttavia, autonomiesuisse si chiede che valore abbiano gli altisonanti annunci dell’UE nei confronti degli Stati terzi, se nell’affrontare una crisi vengono ignorati in modo sconsiderato i principi fondamentali del commercio equo. Questo dimostra una volta di più che chi fa accordi con un partner del genere deve stare in guardia.

06. marzo 2021

Esperto in diritto europeo contro il accordo quadro

Praticamente nessuno si è occupato così tanto intensamente dell’accordo quadro tra Svizzera e UE quanto «Carl il Grande» (testuali parole della «NZZ»). E nessuno conosce il diritto comunitario quanto il Prof. Dott. Carl Baudenbacher, per tanti anni Presidente della Corte di giustizia dell’AELS in Lussemburgo. Nel suo libro «Das Schweizer EU-Komplott» (Il complotto svizzero dell’UE) descrive la motivazione della «cerchia elvetica di ufficiali del dipartimento degli affari esteri, politici, funzionari delle associazioni, esponenti dei mass media e professori». Il loro desiderio? «L’ingresso della Svizzera nell’Unione Europea.» In un’intervista rilasciata a «Blick», Baudenbacher ritiene che l’accordo quadro sia «mal impostato». In caso di controversie tra la Svizzera e Bruxelles, l’ultima parola spetterebbe alla Corte di giustizia dell’Unione europea – cioè il tribunale della controparte. Baudenbacher lo ritiene «contrario al diritto internazionale». Secondo la sua opinione, un tale modello di tribunale arbitrale era stato ideato per Ucraina, Moldavia e Georgia. Cosa propone Baudenbacher? «Un annullamento della procedura. Se il Consiglio federale sottoscrivesse l’accordo e poi la votazione popolare andasse a monte, ci troveremmo nel caso peggiore.» Sarebbe meglio analizzare i possibili scenari, senza precludersi alcuna interpretazione.

05. marzo 2021

Il caporedattore del NZZ: «L’accordo quadro è fallito»

L’accordo quadro con l’UE è un «cavallo morto», che il Consiglio federale dovrebbe smettere di cavalcare, scrive nel «NZZ» il suo caporedattore, Eric Gujer. La colpa sarebbe del Consiglio federale, che non avrebbe formulato una valutazione dell’accordo. Anche i partiti PS, PLR e il centro vogliono aggirare la questione. «Tutti i loro esponenti hanno, pertanto, perfezionato l’arte di parlare dell’accordo senza dire nulla», ammette Gujer. Laddove non si verificasse «il miracolo di Bruxelles», il Consiglio federale dovrebbe dichiarare il fallimento dei negoziati. Mentre l’ordine di battaglia «UDC contro tutti» si è dissolto, l’UE si dimostra essere sempre più intransigente nei confronti degli stati terzi: «Il gioco di potere è diventato più importante della diplomazia che persegue risultati.» La super ghigliottina dell’accordo quadro è quindi particolarmente problematica. In caso di risoluzione, decadrebbero non solo gli accordi bilaterali I, ma anche tutti gli altri accordi, compreso quello di libero scambio. «Ci si potrebbe anche avventurare, se ci fosse un vero rapporto di fiducia. Ma anche i sostenitori di un buon rapporto con l’UE sono diventati più scettici», afferma Gujer. Ritiene, tuttavia, che un vero accordo di libero scambio come quello di cui la Gran Bretagna si è accontentata sarebbe per la Svizzera un «impoverimento, una vera e propria castrazione». Le questioni centrali dell’accordo dovrebbero essere raggiunte, ma con altri mezzi: «Si può giungere a un compromesso accettabile solo se sia Berna che Bruxelles fanno qualche concessione sulle loro massime richieste.»

27. febbraio 2021

Robert Nef: «Cosmopolitismo anziché integrazione parziale»

Robert Nef, membro del Consiglio di fondazione dell’Istituto Liberale di Zurigo, solleva questioni fondamentali in un commento in «Finanz und Wirtschaft»: «L’UE è veramente un progetto orientato al futuro, o non è piuttosto una costruzione superata del dopoguerra (…)?» I mercati interni potrebbero essere considerati come precursori di un’ulteriore apertura – o come una reminiscenza delle guerre commerciali. «Un mercato unico che privilegia l’interno e discrimina l’esterno non apporta vantaggi duraturi a un paese cosmopolita e con una presenza globale.», scrive Nef. Ritenendolo un approccio ostile: «O partecipi, o ti discriminiamo.» Nef ritiene che il libero scambio non necessiti di complicati regolamenti bilaterali, ma piuttosto di principi credibili – come quelli della politica estera svizzera: neutralità, solidarietà, disponibilità e universalità. La conclusione di Nef è in linea con quella di autonomiesuisse: «Nel breve termine, il collegamento ad un mercato interno più vasto può portare vantaggi economici e semplificazioni amministrative per gli esportatori, ma nel lungo termine l’opzione migliore è quella di abbracciare il più possibile il cosmopolitismo.»

20. febbraio 2021

L’ex coalizione europea in frantumi

Per vent’anni il PS, il PPD e il PLR hanno sostenuto i patti bilaterali tra la Svizzera e l’Unione Europea attraverso sette votazioni. Ma sull’accordo quadro questa alleanza va in frantumi, come scrive l’«Aargauer Zeitung». L’accordo penderebbe «come un’ombra oscura» sulle elezioni 2023. Da un lato, in tutti e tre i partiti si stanno sollevando anche internamente critiche all’accordo quadro. Dall’altro, è sempre più probabile che la segretaria di Stato Livia Leu ottenga risultati sull’accordo quadro non realmente convincenti per il Consiglio federale, che passerebbe la «patata bollente» al Parlamento, deputato a deliberare sul tema. Nella primavera 2023, sei mesi prima delle elezioni, l’accordo quadro sarà sottoposto al giudizio popolare sotto forma di referendum obbligatorio. «Si prevede una bocciatura», analizza l’«Aargauer Zeitung». Uno scenario che i presidenti di partito temerebbero «come il diavolo l’acqua santa». Essi, pertanto, pretendono che il Consiglio federale prenda chiaramente posizione.

10. febbraio 2021

Micheline Calmy-Rey: «La Svizzera non avrebbe più margine di manovra»

Intervistata dalla NZZ, l’ex consigliera federale Micheline Calmy-Rey confronta l’accordo sulla Brexit con l’accordo quadro. «In virtù degli accordi bilaterali, la Svizzera è più strettamente legata all’UE rispetto al Regno Unito con l’accordo di libero scambio», afferma, criticando il fatto che l’accordo quadro prevede il coinvolgimento della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) per la risoluzione delle controversie. Il suo ruolo svaluterebbe quello del tribunale arbitrale: «L’accordo sulla Brexit dimostra che un meccanismo di arbitrato può essere diverso da quello auspicato dall’UE». Inoltre, Calmy-Rey critica il fatto che l’accordo di libero scambio del 1972 sarebbe subordinato all’accordo quadro. La politica del PS è però molto dura anche con il Consiglio federale e afferma che «a questo proposito potremmo prendere esempio da Boris Johnson». I tre punti nell’agenda del Consiglio federale (protezione dei salari, direttiva sulla libera circolazione, aiuti di stato) non sono sufficienti. La questione della sovranità resta comunque un problema. E non è «giustificabile» neanche la clausola ghigliottina, sottolinea Calmy-Rey: «L’UE avrebbe in mano un forte strumento di pressione e alla fine la Svizzera non avrebbe più margine di manovra». Analogamente all’ex ministra degli esteri, autonomiesuisse chiede che, come ultima linea difensiva di fronte all’UE, l’accordo di libero scambio non venga integrato nell’accordo quadro. Da evitare anche un’estensione della clausola ghigliottina. E ciò che è possibile per la Gran Bretagna in quanto a meccanismo di arbitrato, dovrebbe esserlo anche per la Svizzera.

09. febbraio 2021

Gli euroturbo si trovano improvvisamente isolati

I sostenitori dell’accordo quadro con l’UE si sentono mancare il terreno sotto i piedi, commenta il SonntagsBlick, in primis perché il Consiglio federale non si pronuncia e, in secondo luogo, perché sono scesi in campo nuovi e «pericolosi oppositori». Il leader dell’UDC Christoph Blocher è stato un «avversario comodo» per gli euroturbo perché, essendo un polarizzatore, quasi nessuno voleva schierarsi dalla sua parte. Ma adesso ci sono altri a «dominare la scena», in particolare l’alleanza Kompass/Europa e il movimento autonomiesuisse. Entrambi i gruppi sono di matrice centrista, raccolgono simpatizzanti tra le fila dell’imprenditoria e stanno rapidamente acquistando nuovi membri. Per i sostenitori dell’accordo si tratta di un «incubo». «Nel fronte dei sì si aggira persino la paura che l’accordo possa naufragare già in Consiglio federale», sospetta il Sonntagsblatt. La ministra di giustizia Karin Keller-Sutter «è molto critica sull’accordo». autonomiesuisse ha l’impressione che gli ultimi sostenitori dell’accordo quadro tendano più a salvarsi la faccia che a presentare dei validi argomenti. Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) deve trovare una soluzione per uscire dall’impasse in cui si è infilata.

08. febbraio 2021

Giudice a Strasburgo: «Attenzione, qui c’è un problema»

L’ex giudice federale svizzero Andreas Zünd è stato eletto alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). In un’intervista su «20 minuti», mette in guardia sull’accordo quadro. È particolarmente critico nei confronti del tribunale arbitrale proposto, che sarebbe soggetto alla giurisdizione della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE). Motivo: «Perché questo metterebbe la giustizia svizzera in una posizione più debole rispetto a quelle nazionali degli stati membri dell’UE. La nostra giustizia sarebbe praticamente sorvegliata da un comitato misto di ufficiali e funzionari per quanto concerne il diritto dell’Unione.» Zünd ritiene ciò «tecnicamente non ben risolto» e si chiede: «Vogliamo legarci e cedere la sovranità?» In qualità di giudice si dovrebbe trattenere. Ma avrebbe detto: «Attenzione: c’è un problema che avrà peso per molto tempo.»

07. febbraio 2021

Thomas Egger: «Ogni insediamento aziendale sovvenzionato dovrebbe essere esaminato da una nuova autorità centrale»

L’accordo quadro con l’UE è decisamente «fuori da ogni regola», afferma l’ex Consigliere nazionale del PPD Thomas Egger, Direttore del Gruppo svizzero per le regioni di montagna, nel «Walliser Bote». Secondo la bozza dell’accordo quadro, le regole sugli aiuti di stato fanno riferimento all’accordo sul trasporto aereo e a tutti gli accordi futuri. Eppure, in «precipitoso zelo» secondo Egger la Svizzera sta già esaminando tutte le misure di promozione dell’energia idroelettrica per verificare se siano compatibili con le regole dell’UE sugli aiuti di stato. Egger teme che, se dovesse aggiungersi anche un accordo sui servizi, probabilmente comporterebbe la fine delle garanzie statali per le banche cantonali e delle partecipazioni di maggioranza della Confederazione alle poste, alle FFS e a Swisscom. Con l’accordo quadro, la Svizzera dovrebbe istituire una nuova autorità indipendente per esaminare gli aiuti di stato. Le conseguenze avrebbero un’ampia portata: ogni insediamento sovvenzionato di una nuova azienda dovrebbe essere denunciato all’autorità. «Quest’ultima deciderebbe in modo definitivo sull’ammissibilità o meno della sovvenzione», scrive Egger. Questo processo riflette la mentalità di Bruxelles, in base alla quale il potere è concentrato nell’amministrazione. Piuttosto di un ritocco superficiale, sarebbe più onesto «un vero e proprio nuovo inizio in cui la Svizzera e l’UE si possano confrontare su un piano di parità».

03. febbraio 2021

Gran parte dell’economia svizzera reagisce

Entrambe le organizzazioni mantello delle imprese, economiesuisse e l’Unione svizzera degli imprenditori, hanno dichiarato oggi alla loro conferenza stampa che continueranno a sostenere l’accordo quadro con l’UE se, nei negoziati, il Consiglio federale riuscirà ad imporre le tre richieste in merito a: protezione dei salari, aiuti di stato e direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE. Gran parte dell’economia svizzera, tuttavia, non condivide questa posizione. La sola autonomiesuisse ha raggiunto i 550 membri dal mondo economico. Va considerato, inoltre, che da inizio anno è operativa anche l’alleanza Bussola/Europa. In un comunicato stampa, autonomiesuisse espone nuovamente la sua visione imprenditoriale a lungo termine in merito all’accordo quadro. Il problema di fondo consiste nel trasferimento irrevocabile del potere a Bruxelles. La perdita della sovranità segnerebbe la fine del modello di successo svizzero, a favore della «mediocrità europea».

31. gennaio 2021

Adesso preme sul freno anche Economiesuisse

Senza dare nell’occhio, Economiesuisse ha smorzato la sua posizione sull’accordo quadro. Finora l’organizzazione mantello delle imprese avrebbe esortato il Consiglio federale a «firmare in fretta» il trattato con l’UE. Adesso si parla di «aspettare e riconsiderare». Il giornalista Dominik Feusi descrive la svolta nell’atteggiamento di Economiesuisse nel «Sonntagszeitung». Ora che l’elenco di chi si oppone all’accordo quadro cresce rapidamente nelle cerchie economiche, con autonomiesuisse e l’alleanza Bussola/Europa in testa, non è un caso che Economiesuisse voglia ripensarci completamente. Quando saranno disponibili i resoconti della nuova responsabile dei negoziati Livia Leu si dovrebbe procedere ad una nuova valutazione, «anche in merito alla perdita di sovranità». Eppure, i punti critici come la subordinazione alla Corte di giustizia dell’Unione europea e la perdita di sovranità non sono nuovi, come si può leggere nella testata domenicale: «Si sono sempre poste queste questioni, da quando l’UE nel 2008 ha sollecitato la definizione di un accordo quadro istituzionale.»

28. gennaio 2021

Peter Spuhler: «Se fossi un Consigliere federale interromperei tutto ciò»

No, non intende proprio diventare Consigliere federale, ha confermato Peter Spuhler, CEO e presidente del CdA di Stadler Rail e co-presidente di autonomiesuisse, al moderatore televisivo Urs Gredig durante la trasmissione della SRF «Gredig direkt». Spuhler, comunque, sa fin troppo bene cosa farebbe come Consigliere federale nei negoziati con l’UE: «Adesso interromperei i negoziati sull’accordo quadro.» Sarebbe a favore del percorso bilaterale con l’UE e riterrebbe un accordo quadro «non grave di per sé». Ritiene importante mantenere dei buoni rapporti con l’UE, ma la Svizzera «non deve sottomettersi». Spuhler ha affermato testualmente: «La Corte di giustizia dell’Unione europea non si pronuncerebbe mai a favore della Svizzera. Lo abbiamo già visto con l’equivalenza reciproca delle borse.» Secondo la sua valutazione, la popolazione svizzera non accetterebbe mai un tale accordo.

28. gennaio 2021

Prof. Dott. Carl Baudenbacher: «scendere dal piedistallo»

È proprio uno dei massimi esperti di diritto europeo e internazionale, il Prof. Dr. iur. Dr. rer. pol. h.c. Carl Baudenbacher, presidente della Corte di giustizia dell’AELS dal 2003 al 2017, a descrivere in punta di penna le insidie dell’accordo quadro Svizzera-UE. Nei negoziati con l’UE i britannici hanno dimostrato che nelle questioni di sovranità non si deve transigere, afferma Baudenbacher nel «Weltwoche». Ritiene la supposizione del Consiglio federale, secondo cui la Brexit non avrebbe nulla a che vedere con l’accordo quadro, del tutto sbagliata – e adesso «completamente indifendibile». Dopo la Brexit, il Consiglio federale dovrebbe rivalutare il tutto. Senza la Gran Bretagna, infatti, l’UE del 2021 non sarebbe più quella del 2012. «Come è noto, il Consigliere federale Didier Burkhalter, sostenuto dal Segretario di Stato Yves Rossier, ha iniziato la sua corsa verso l’UE nel dicembre 2012. Adesso però è arrivato il momento di scendere dal piedistallo. Abbiamo, infatti, raggiunto un vicolo cieco.»

24. gennaio 2021

La «manovra diversiva» del Consiglio federale rischia di fallire

Da destra a sinistra, si esorta il Consiglio federale a premere il tasto reset sull’accordo quadro Svizzera-UE. Perché il Consiglio federale, nelle rinegoziazioni, si limita «proprio e soltanto» a tre punti? Se lo chiede il giornalista Niklaus Ramseyer su «Infosperber», fornendo delle risposte. Perché il Consiglio federale «ritiene che sia il modo migliore per dialogare ancora un po’ con l’UE» e per «poter placare tre importanti gruppi del Paese che si oppongono al trattato con l’UE» – i sindacati, i partiti borghesi e i Cantoni. Eppure, la «manovra diversiva» rischierebbe di fallire, e «l’elefante nella stanza» dell’accordo quadro sarebbe proprio la perdita di sovranità. I tre punti del Consiglio federale andrebbero considerati «come tre topolini nell’angolo della stanza». Solo i verdi liberali ed Economiesuisse avrebbero esortato il Consigliere federale Ignazio Cassis a firmare rapidamente il trattato con l’UE. «Con tali dichiarazioni, è più probabile che l’associazione indebolisca il sostegno che riceve dal mondo economico, piuttosto che rafforzare quello per l’accordo quadro con l’UE», sottolinea Ramseyer. Degli «imprenditori rinomati» avrebbero creato «l’astuta controproposta che sa usare le parole» chiamata autonomiesuisse. Un comitato simile sarebbe l'alleanza Bussola Europa. Durante la sua visita a Bruxelles, la nuova responsabile dei negoziati, la Segretaria di Stato Livia Leu, non avrebbe incontrato la presidente della Commissione dell’UE Ursula von der Leyen. Non ci sarebbe stato nemmeno un responsabile dei negoziati per la Svizzera. «L’UE si limita a negare la necessità di negoziare o riprendere a negoziare in merito all’accordo quadro con la Svizzera.» All’incontro con LEU, l’ufficio di presidenza dell’UE avrebbe mandato solamente il vice capo di gabinetto. «In questo modo Bruxelles ha voluto far capire alla rappresentante svizzera che nell’accordo quadro c’è ben poco spazio per negoziare sui topolini – figuriamoci sugli elefanti.»

23. gennaio 2021

In Svizzera si stanno formando nuovi movimenti

Mentre i partiti borghesi perdono la bussola e le associazioni economiche si scontrano, nel vuoto si fanno largo dei nuovi movimenti borghesi, scrive il «NZZ am Sonntag» in un’analisi. In merito all’accordo quadro, entrambi i gruppi hanno una posizione opposta rispetto a quella dell’associazione mantello dell’economia economiesuisse. Prima si sarebbe formata autonomiesuisse, poi l’alleanza Bussola Europa, sostenuta dai fondatori del Partners Group. «Economiesuisse rappresenta l’opinione di pochi gruppi industriali. Ma noi non guardiamo al prossimo trimestre, abbiamo obiettivi a lungo termine», la testata cita Hans-Jörg Bertschi, co-presidente di autonomiesuisse. Secondo Bertschi, molti membri del movimento provengono dagli «ambienti del PLR, ma sono insoddisfatti delle posizioni del gruppo parlamentare del PLR in merito all'accordo quadro.»

23. gennaio 2021

Ai sostenitori dell’accordo quadro mancano gli argomenti

«Gli oppositori dell'accordo quadro hanno il sopravvento», commenta Francesco Benini nello «Schweiz am Sonntag». Pertanto, considera l’«associazione economica autonomiesuisse» ed il comitato «Bussola Europa» come alleanze estremamente incisive. Ritiene che la Svizzera stia diventando più scettica. «La controparte rimane incredibilmente in silenzio. Nessuno è disposto a spiegare in che misura la perdita di sovranità, che la Svizzera sta rischiando, sarebbe compensata da altri vantaggi», afferma con obiettività Benini. In un’intervista al NZZ, il ministro degli esteri Ignazio Cassis sarebbe apparso sulla difensiva, evitando la questione della composizione delle controversie da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea. «È troppo poco. I sostenitori del trattato devono cercare argomenti migliori se vogliono vincere la battaglia», conclude Benini. Gli oppositori, infatti, si starebbero già adoperando per affondare il trattato.

23. gennaio 2021

Il nuovo presidente della CDU critica la democrazia diretta

Il nuovo uomo forte del partito più influente d’Europa, il presidente confermato della CDU Armin Laschet, critica da anni la democrazia diretta in Svizzera. Come riferisce l’«Aargauer Zeitung», è contento che la Germania abbia una «Costituzione molto più intelligente». Su tutti i canali ha già messo in guardia nei confronti del voto sui diritti fondamentali. «Per fortuna» la Legge fondamentale tedesca non lo permette. Le «questioni complesse» non si possono risolvere con il voto. Dopo il recepimento dell’iniziativa popolare contro l’immigrazione di massa del 2014, Laschet ha dichiarato al «Rheinische Post», riferendosi alla Svizzera: «Chi si esprime contro i tedeschi e gli altri cittadini dell’UE non può trarre profitto dagli affari con la Germania.» Cosa pensa autonomiesuisse di questa propaganda psicologica? Laschet lascia trasparire la sua concezione di essere umano: ritiene che le opinioni dei politici professionisti valgano di più rispetto a quelle della popolazione. Nel contempo, sembra sottrarsi da un ampio discorso politico, rivelando altresì una conoscenza piuttosto scarsa della politica economica. Che la politica diretta, infatti, sia «non solo valida, ma migliore» rispetto alle «alternative realistiche» è «ampiamente dimostrato a livello teorico ed empirico», come scrive ad esempio il Prof. Dr. Reiner Eichenberger, professore di economia all’università di Friburgo, in una raccolta di colleghi austriaci (2019). Sta di fatto che, quanto a competitività e benessere, la Svizzera è in vantaggio su tutta l’Europa. Le dichiarazioni di Armin Laschet sono un motivo in più per non firmare il presente accordo quadro con l’UE, che comprometterebbe la sovranità svizzera e i diritti democratici diretti. Se si suppone che i giudici della Corte di giustizia dell’Unione europea concepiscano la politica come Laschet, sarebbe ingenuo sperare in una sentenza «equilibrata» in caso di controversie giuridiche.

18. gennaio 2021

autonomiesuisse accoglie con favore la nuova iniziativa di «Bussola/Europa»

Mentre il Consiglio federale sceglieva di negoziare con l’UE unicamente «chiarimenti» da apporre al testo dell’accordo quadro, si è formato un secondo comitato economico decisamente contrario a tale accordo, riporta il «Tages-Anzeiger». Presentatosi al pubblico come «Bussola/Europa», esso ha per portavoce volti noti come Kurt Aeschbacher e Bernhard Russi. Promotore del comitato è Alfred Ganter, tra i cofondatori della holding Partners Group. Ad esso hanno nel frattempo aderito 250 personalità dell’economia e della società civile. Le argomentazioni di Ganter sono simili a quelle sostenute da autonomiesuisse: la Svizzera ha un reddito pro capite a parità di potere di acquisto superiore del 30 percento rispetto all’UE perché opera in modo diverso dall’UE. autonomiesuisse accoglie con favore l’iniziativa. Essa dimostra che l’economia svizzera non sostiene l’accordo quadro. Il fronte degli imprenditori a favore di una Svizzera indipendente e aperta al mondo cresce.

18. gennaio 2021

Un ex diplomatico: perché i britannici hanno negoziato meglio

È possibile paragonare l’accordo di Brexit con l’accordo quadro Svizzera-UE? «Sotto diversi aspetti i due accordi differiscono sensibilmente. Ma alcuni elementi possono essere paragonati», ammette l’ex diplomatico Paul Widmer in un commento sull’«NZZ». Entrambi gli stati perseguono un accesso vantaggioso al mercato interno dell’UE (…). Ed entrambi, secondo Widmer, «si trovano ad avere a che fare con un partner negoziale che ha ripetutamente dichiarato di non voler rinunciare alla rispettiva offerta». Il divieto di confronto è stato posto per un preciso motivo: «La Svizzera se la cava male» – nella sostanza, ma anche nello stile. Boris Johnson ha giocato il tutto per tutto nonostante la Gran Bretagna, a differenza della Svizzera, in caso di fallimento dei negoziati sarebbe restata priva di un trattato. «Se i nostri negoziati dovessero fallire, resterebbero in vigore 120 accordi bilaterali.» Il Consiglio federale si è accontentato troppo in fretta di piccole concessioni, continua Widmer in modo critico. L’errore fatale lo ha commesso a giugno 2019, quando ha accolto con favore la bozza dell’accordo esigendo solo piccole modifiche in fatto di protezione dei salari, accesso ai sussidi sociali e aiuti di stato ed evitando di menzionare i problemi fondamentali, vale a dire l’adozione dinamica dei diritti e il ruolo della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) in caso di controversie. In qualità di candidato al Consiglio federale, Ignazio Cassis aveva citato la necessità di effettuare un reset completo ma, conclude Widmer: «Purtroppo fino a oggi non l’ha fatto. Eppure sarebbe stato l’unico modo per salvare l’accordo quadro.»

16. gennaio 2021

Sempre più esponenti del PLR si schierano contro l’accordo quadro

A Berna la maggioranza della frazione PLR continua a sostenere l’operato del Consiglio federale. La consigliera nazionale Christa Markwalder e il consigliere nazionale Kurt Fluri sono dell’opinione che la composizione della controversia dinanzi al tribunale arbitrale costituisca un fatto «estremamente positivo», afferma l’«Aargauer Zeitung». Secondo la medesima fonte, Fluri ritiene che la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) possa evitare gli atti di arbitrio. Tali argomentazioni sono tuttavia insufficienti. autonomiesuisse chiarisce che: in primo luogo la composizione della suddetta controversia è stata derivata direttamente dall’accordo dell’UE con l’Ucraina. Nell’ambito di tale accordo l’UE giustificò il meccanismo con l’assenza di un ordinamento giuridico sufficientemente consolidato, al contrario di ciò che avviene con la Svizzera. In secondo luogo, in presenza di atti di arbitrio quali ad esempio l’equivalenza reciproca delle borse, la Svizzera deve essere in grado di difendersi in modo efficace – e non accettare passivamente le decisioni della Corte di giustizia della controparte. Consideriamo positivo che il Consigliere agli Stati del PLR Thierry Burkart, che contesta il parere della CGUE, stia ricevendo sempre maggior supporto. Ad esempio da parte dei Consiglieri agli Stati Martin Schmid e Thomas Hefti nonché dei consiglieri nazionali Maja Riniker, Marcel Dobler, Peter Schilliger e Christian Wasserfallen. Come ha correttamente osservato l’«Aargauer Zeitung»: «Diversi imprenditori liberali che contestano l’accordo si sono uniti al comitato autonomiesuisse recentemente fondato.»

15. gennaio 2021

Pierre-Yves Maillard: «Sarebbe più onesto ricominciare i negoziati da capo»

L’appoggio a favore dell’accordo quadro si sta sgretolando su diversi fronti. Dopo che il Consigliere agli Stati del PLR Thierry Burkart ha spostato il dibattito sulla perdita di sovranità, sempre più politici di diverse fazioni si stanno dichiarando contro l’accordo che il Consiglio federale invece caldeggia. Adesso, nelle testate di CH Media, anche il Presidente dell’Unione sindacale e Consigliere nazionale del PS Pierre-Yves Maillard afferma che «sarebbe più chiaro e onesto perseguire una completa rinegoziazione». Ritiene che, in una votazione popolare, l’accordo non avrebbe chance. La Gran Bretagna ha negoziato un accordo di Brexit con l’UE in cui la Corte di giustizia dell’Unione europea non detiene alcun ruolo. Ciò dimostra che «ci sono altre logiche possibili». A questo proposito, autonomiesuisse ha pubblicato un comunicato stampa e invita gli attori della politica a ripensare il loro rapporto con l’UE.

14. gennaio 2021

Il Consigliere agli Stati Thierry Burkart: «L’UE merita una risposta schietta»

Dopo la stipula dell’accordo di libero scambio tra Gran Bretagna e UE è tempo ora di «giudicare la situazione senza il paraocchi» scrive il Consigliere agli Stati del PLR Thierry Burkart su alcune testate di CH Media come il «St. Galler Tagblatt» a commento dell’accordo quadro tra Svizzera e UE. È inutile cercare di ignorare «l’elefante nella stanza»: «Il vero problema (…) è la perdita di sovranità». Gli svantaggi di questo accordo quadro superano i vantaggi. La Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) potrebbe in futuro giudicare diritto e decisioni politiche anche nei casi in cui essi siano solo marginalmente interessati dal diritto europeo, prosegue l’avvocato Burkart. Di fatto le autorità svizzere assumerebbero una posizione «ausiliaria» rispetto all’UE. Il Consiglio federale farebbe bene a informare in maniera schietta l’UE che il presente accordo quadro non ha chance di essere accolto presso gli attori politici. autonomiesuisse condivide pienamente la valutazione di Burkart e ha pubblicato a questo proposito un comunicato stampa. Obiettivo di autonomiesuisse è costruire con l’UE una cooperazione proficua e a lungo termine su un piano di parità, orientata a realizzare un partenariato di reciproco vantaggio.

12. gennaio 2021

Senza la corrente svizzera, la Germania rischia il «blackout»

L’UE minaccia di interrompere i negoziati con la Svizzera in merito a un accordo quadro sull’energia elettrica. I sostenitori dell’UE asseriscono che la Svizzera necessita di ulteriori accordi bilaterali al fine di garantire la sicurezza di approvvigionamento. Ricerche condotte dal quotidiano tedesco «Die Welt» mostrano tuttavia che è vero esattamente il contrario. Secondo tali ricerche, l’UE non può permettersi di fare della Svizzera un’isola in fatto di approvvigionamento: «L’Unione Europea dipende dall’infrastruttura energetica svizzera molto più di quanto la Svizzera dipenda dal mercato energetico europeo.» Per questo l’UE avrebbe originariamente incoraggiato l’avvio dei negoziati. In qualità di «piattaforma per l’interscambio di energia elettrica» la Svizzera rappresenta in Europa uno dei principali paesi di transito dell’elettricità. Il suo territorio è attraversato dall’11 percento dell’energia elettrica europea. Il paese è inoltre «indispensabile» anche nel ruolo di accumulatore elettrico per l’approvvigionamento energetico europeo. I laghi alpini che svolgono funzione di stoccaggio idroelettrico contribuiscono in misura ragguardevole a stabilizzare l’oscillante produzione energetica ecologica derivante dai settori eolico e solare di tutta Europa. Senza la Svizzera, in particolare la Germania rischia il «blackout».

09. gennaio 2021

Capo economista della Confederazione: «La Svizzera ne uscirà indenne»

L’emergenza coronavirus ha colpito duramente anche le aziende svizzere – ma sembra che se la stiano cavando meglio delle imprese dei Paesi confinanti. Eric Scheidegger, capo economista della confederazione, prevede per la Svizzera, secondo il «NZZ am Sonntag», una contrazione dell’economia di circa il 3 percento. La Germania e l’Austria hanno accusato una contrazione doppia, pari al 6 percento. In Francia e in Italia, l’economia è addirittura arretrata tre volte tanto, riportando un meno 9 percento. Per l’anno in corso e per il prossimo Scheidegger si dichiara ottimista. Prevede per la Svizzera un miglioramento congiunturale dal 3 al 4 percento. Scheidegger conferma così implicitamente quanto dichiarato dal cancelliere austriaco nel mese di giugno (notizie del 12 giugno): La Svizzera può reagire alle crisi in modo più tempestivo e mirato rispetto all’UE. autonomiesuisse commenta: L’agilità ha già aiutato la Svizzera ad uscire rapidamente dalla crisi finanziaria. E fornisce un vantaggio anche in termini di impulsi all’innovazione. Ecco perché non possiamo mettere a repentaglio l’ultracentenario modello di successo svizzero, allineandolo all’UE tramite il presente accordo quadro.

09. gennaio 2021

Presto a Londra saranno nuovamente negoziate le azioni svizzere

La Svizzera sta conducendo colloqui con la Gran Bretagna sull’equivalenza reciproca delle borse, come riferisce il «NZZ am Sonntag». Va ricordato che, a metà 2019, l’UE voleva intensificare le pressioni su Berna affinché firmasse l’accordo quadro. Per questo motivo ha negato alla Borsa svizzera la cosiddetta «equivalenza». I titoli dell’UE non potevano più essere negoziati sulle borse svizzere. Come stato membro dell’UE, la Gran Bretagna si è vista costretta a rinunciare ad alcuni dei titoli più negoziati, come Nestlé e Roche. La Svizzera se l’è cavata con poco. In risposta, il Consiglio federale ha vietato la compravendita di titoli svizzeri sulle borse dell’UE, aumentando vertiginosamente il giro d’affari nella borsa svizzera. L’UE si è data la zappa sui piedi. Già a febbraio dovrebbe riprendere la compravendita dei titoli svizzeri a Londra, la più grande piazza finanziaria d’Europa. autonomiesuisse consiglia: Adesso sarebbe opportuno avviare anche un programma di scambio per studentesse e studenti con la Gran Bretagna. Delle 35 migliori università del mondo, sei si trovano in Gran Bretagna e due in Svizzera – ma nessuna nell’UE. Il Consiglio federale sarebbe nella posizione di dare un taglio alle provocazioni dell’UE in merito al programma Erasmus Plus.

08. gennaio 2021

Tito Tettamanti: «Brexit era prevedibile»

Nel «Corriere del Ticino» l’ex Consigliere di Stato e imprenditore Tito Tettamanti commenta la Brexit in punta di penna. Accennando alle argomentazioni di autonomiesuisse, sostiene che l’accordo dei britannici dimostri come, nei negoziati con l’UE, si ottengano risultati migliori se li si affronta senza timore reverenziale e senza paura di ricatti. Osserva, poi, che il divorzio tra Gran Bretagna e UE era prevedibile – «non tanto per le controversie sui diritti di pesca (…) ma piuttosto perché le due parti hanno opinioni opposte su cosa sia lo stato.» Per «rimanere sé stessa», la Gran Bretagna non avrebbe avuto altra scelta che optare per la Brexit. A detta di Tettamanti, l’UE peccherebbe di internazionalismo, nonché del «potere dei tecnocrati», che vorrebbero limitare sempre di più i diritti democratici. Il contro-modello ritiene sia una visione che rispetti la democrazia, la storia, i valori, l’economia e le convinzioni anche degli stati più piccoli. Come in Inghilterra, anche in Svizzera sarebbe «evidente l’incompatibilità tra i due concetti.» Laddove l’Inghilterra difende la sovranità nei confronti dell’UE, quindi, «noi svizzeri dobbiamo esserne grati».

07. gennaio 2021

«Risveglio primaverile» nelle cerchie economiche

«Se si confrontano i risultati dei negoziati tra il Regno Unito e la Svizzera, si rimane quasi sconvolti da quanto male la Svizzera abbia negoziato con l’UE», afferma Hans-Jörg Bertschi, co-presidente di autonomiesuisse, al «Weltwoche». Il presidente del CdA del gruppo Bertschi Gruppe, il «gigante segreto della logistica internazionale», con circa 3100 dipendenti e un fatturato di un miliardo, sottolinea i vantaggi della Svizzera nella concorrenza globale con l’UE. Se immagina che un giorno in Svizzera possano sussistere le stesse condizioni che nell’UE, «dovrei raccomandare alla prossima generazione di gestire gli affari globali da una piazza economica più aperta, come Singapore.» Bertschi ritiene che le argomentazioni di economiesuisse a favore dell’accordo quadro siano insufficienti. Sono caratterizzate da grandi gruppi, i cui dirigenti di solito non sono responsabili in qualità di proprietari, spesso non sono svizzeri e non capiscono la democrazia diretta.

06. gennaio 2021

Gli aeromodellisti hanno messo la Svizzera in rotta di collisione con Bruxelles

Oltre ai droni, l’UE vuole regolamentare più rigorosamente anche l’aeromodellismo. Ciò ha infastidito il Consigliere nazionale del PLR argoviese Matthias Jauslin. È riuscito a convincere subito sia il Consiglio degli Stati che il Consiglio nazionale. Il Consiglio federale è stato quindi incaricato, tramite una mozione della Commissione, di presentare a Bruxelles una richiesta di deroga al nuovo regolamento UE sui droni. L’«Aargauer Zeitung» scrive a questo proposito: «In virtù dell’accordo bilaterale sul trasporto aereo, la Svizzera è tenuta ad adeguare costantemente le proprie norme alla legislazione dell’UE. Se si rifiuta, nel peggiore dei casi l’UE può sospendere l’intero accordo.» La questione sarebbe un buon banco di prova per l’adozione dei diritti nell’accordo quadro istituzionale, che Jauslin sostiene. Se l’Ufficio federale dell’aviazione civile (UFAC) non riuscisse a risolvere queste semplici eccezioni, questo la direbbe lunga sui nostri rapporti con l’UE. Commento di autonomiesuisse: «Interessante che un esponente del PLR si batta per i 15 000 appassionati di aeromodellismo, mentre il gruppo parlamentare del PLR auspica l’accordo quadro, che ci legherà le mani in questioni simili e molto più importanti. La decisione, infatti, spetta alla controparte – la Corte di giustizia dell’Unione europea.»

04. gennaio 2021

Oswald Grübel: «La Svizzera non ha bisogno di un accordo quadro con l’UE»

Il Brexit deal non ha sorpreso né i mercati finanziari né lui, rivela Oswald Grübel, ex CEO delle grandi banche svizzere Credit Suisse e UBS, originario della Germania Est, in un’intervista al «Luzerner Zeitung». «C’erano troppi interessi finanziari in gioco da entrambe le parti. Solo i burocrati dell’UE hanno cercato di rappresentare al pubblico una realtà diversa per ragioni tattiche durante i negoziati.» Grübel trae conclusioni chiare per la Svizzera, ritenendo che non abbia bisogno di un accordo quadro con l’UE. In base alle sue testuali parole: «La Svizzera non dovrebbe sottomettersi ai dettami della Corte di giustizia dell’Unione europea senza motivo.»

29. dicembre 2020

Analisi esclusiva del Prof. Dott. Carl Baudenbacher per autonomiesuisse

Il Regno Unito è riuscito a bandire dal trattato Brexit il meccanismo Ucraina previsto dall’UE, che contemplava la subordinazione alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE). Sarà invece coinvolto un vero tribunale arbitrale. I sostenitori dell’accordo quadro istituzionale tra la Svizzera e l’UE sostengono che la Svizzera acquisirebbe un «migliore» accesso al mercato dell’UE rispetto alla Gran Bretagna, quindi in cambio dovrebbe «ingoiare» la CGUE. Questa posizione non è accettabile, come evidenzia il Prof. Dr. iur. Dr. rer. pol. h.c. Carl Baudenbacher, ex presidente della Corte di giustizia dell’AELS, in un’analisi per autonomiesuisse. Con l’accordo quadro la Svizzera sarebbe relegata nella lega degli «Stati vicini» alla stregua di Ucraina, Marocco e Libia. L’Ucraina non partecipa al mercato interno dell’UE, ma è stata costretta a sottostare alla CGUE. La Gran Bretagna voleva uscire dal mercato interno dell’UE, eppure l’UE ha cercato di imporre la CGUE ai britannici. Anche alcuni esponenti dell’UE ammettono che questo tipo di «tribunale arbitrale» nell’accordo quadro è solo un camuffamento. Non è «onesto, da parte della Berna federale, parlare di percorso bilaterale, quando oramai da tempo è diventato unilaterale», osserva Baudenbacher.

27. dicembre 2020

I critici dell’UE hanno motivo di respirare un’aria nuova

Nessun giudice straniero, nessun diritto straniero: i britannici hanno escluso dall’accordo Brexit le clausole che più disturbano i critici dell’attuale accordo quadro Svizzera-UE. «I critici dell’UE esultano – troppo presto?», si chiede il «NZZ am Sonntag». Il giornale spiega come autonomiesuisse, per le questioni di sovranità politica, auspichi una soluzione simile a quella ottenuta dal Regno Unito. Lo fa citando politici ed economiesuisse, ma in quanto al governo si limita ad un «no comment». «NZZ am Sonntag» ritiene, tuttavia, che il paragone con il Regno Unito zoppichi. Sta di fatto che il trattato Brexit contempla accordi di accesso al mercato paragonabili all’accordo quadro e agli accordi bilaterali ed ha una struttura simile al trattato CETA tra UE e Canada. Fin dall’inizio, con il Regno Unito l’UE ha insistito sulla subordinazione al meccanismo Ucraina presso la Corte di giustizia dell’Unione europea. Il Regno Unito, però, ha fortemente contestato questa pretesa ed è riuscito ad imporsi.

26. dicembre 2020

Ex-diplomatico: il Consiglio federale deve rinegoziare

Il Brexit deal lancia un segnale positivo per la Svizzera. Questo è quanto ha dichiarato a «20 Minuten» l’alto diplomatico svizzero di lunga data Paul Widmer. Ritiene che valga la pena difendere la propria posizione con perseveranza. Non bisogna «lasciarsi impressionare dai tentativi di intimidazione da parte dell’UE». L’UE avrebbe ribadito più volte di non essere disposta a fare alcuna concessione – per poi scendere a nuovi compromessi. «Ma proprio su questo punto il Consiglio federale, a mio avviso, è entrato in un vicolo cieco quando, a giugno, ha sostanzialmente accolto con favore l’attuale accordo quadro, esigendo migliorie solamente in tre aree», sostiene Widmer. Anche se l’UE non venisse incontro alla Svizzera, il Consiglio federale non dovrebbe firmare il presente accordo quadro. La Svizzera si troverebbe, infatti, in una posizione più favorevole rispetto al Regno Unito: «120 trattati continueranno a disciplinare le relazioni bilaterali tra l’UE e la Svizzera anche in futuro. (...) Abbiamo tutto il tempo per continuare a negoziare.»

25. dicembre 2020

autonomiesuisse accoglie con favore l’accordo sulla Brexit

Alla vigilia di Natale, Bruxelles e Londra hanno siglato un accordo di libero scambio. Si creano così nuovi margini di manovra per i negoziati Svizzera-UE. Sugli elementi cruciali, infatti, il Regno Unito ha fatto valere i propri interessi. Contrariamente all’attuale accordo quadro Svizzera-UE, l’accordo Brexit prevede la composizione delle controversie politiche senza l’intervento della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE). Il trattato Brexit, inoltre, non contempla un’adozione dinamica del diritto comunitario da parte del Regno Unito. Infine, gli accordi Brexit non contengono clausole ghigliottina – presenti invece nell’accordo quadro Svizzera-UE – finalizzate a esercitare pressioni sulla controparte. Inoltre, poiché la libera circolazione delle persone non è parte integrante del trattato, non si applica la direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE. Nel complesso, durante le trattative sulla Brexit le questioni di sovranità politica sono state in gran parte disciplinate nel modo auspicato da autonomiesuisse per l’accordo quadro Svizzera-UE. In un’ottica imprenditoriale, la sovranità è imprescindibile per il successo a lungo termine dell’economia svizzera. L’accordo Brexit dimostra che sussiste un potenziale di negoziazione con Bruxelles.

18. dicembre 2020

Il piano B di autonomiesuisse conquista gli imprenditori

Mentre Economiesuisse insiste sull’accordo quadro con l’UE, Hans-Jörg Bertschi, imprenditore e co-presidente di autonomiesuisse, ritiene questa posizione troppo poco lungimirante, come riferisce il quotidiano «Schaffhauser Nachrichten». «In gioco non c’è solo l’accesso al mercato, ma anche la sovranità della Svizzera», spiega Bertschi. «La sovranità ci serve per poter definire autonomamente le nostre condizioni quadro economiche, per evitare che vengano dettate da Bruxelles.» L’accordo quadro le assimilerebbe alle condizioni significativamente peggiori dell’UE. Come piano B rispetto all’accordo quadro, Bertschi ipotizza, ad esempio, un accordo economico e di libero scambio (CETA), come quello negoziato tra l’UE e il Canada. Ciò coprirebbe gran parte di quanto attualmente disciplinato dagli accordi bilaterali – senza che la Svizzera debba recepire in modo dinamico il diritto comunitario e sottostare alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Se l’accordo quadro dovesse fallire, «un accordo di libero scambio sarebbe certamente un’ovvia alternativa», ammette persino Monika Rühl, presidente della direzione di Economiesuisse. Come riportato dallo «Schaffhauser Nachrichten», sia Markus Gross, direttore di Zanol GmbH, azienda fornitrice di tecnologie medicali, che Marcel Fringer, imprenditore e presidente dell’Unione cantonale delle arti e dei mestieri di Sciaffusa, vedrebbero con favore un accordo di libero scambio. Fringer sostiene altresì che la Svizzera dovrebbe approfondire le relazioni commerciali con i Paesi al di fuori dell’UE. Nel contempo, gli imprenditori ribadiscono che la Svizzera, in quanto parte dell’Europa, non dovrebbe isolarsi.

29. novembre 2020

Tito Tettamanti: il Consiglio federale in un vicolo cieco?

L’ex Consigliere di Stato e imprenditore Tito Tettamanti delinea nel «Corriere del Ticino» l’operato infelice del governo nei negoziati con l’UE. Ritiene che la maggioranza del Consiglio federale sia contraria al presente accordo quadro, ma voglia salvare la faccia nei confronti dell’UE – «che non è una democrazia come la nostra e dove il potere della burocrazia è notevole». Potrebbe togliere la testa dal cappio, ribadendo con così tanta risolutezza i suoi tre punti da far sì che l’UE respingesse l’accordo. Tettamanti, tuttavia, considera realistico un altro scenario: il Consiglio federale si accontenta delle modifiche di facciata e firma con umiltà. Lasciando al popolo la soluzione definitiva, per potersi giustificare con Bruxelles: «Questa è la democrazia.»

28. novembre 2020

Il Consiglio federale esita di fronte alle questioni di sovranità

Il Consiglio federale rompe il silenzio di fronte al Parlamento in merito all’accordo quadro, come riferisce il «Neue Zürcher Zeitung». Eppure, nonostante le pressioni esercitate dall’economia, dalla politica e dalla società, evita di affrontare le questioni di sovranità con l’UE. Vuole trattare solo i tre argomenti in discussione dall’estate 2019, ovvero la protezione dei salari, gli aiuti di stato e la direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE. Così facendo, il Consiglio federale si posiziona dietro ai «giudici stranieri». Autonomiesuisse teme che stia rischiando di trasformare l’accordo quadro in una votazione popolare. Nella sessione invernale, il Parlamento dovrebbe lanciare un segnale a favore di un migliore accordo quadro. Bisogna tutelare la democrazia diretta per non compromettere il modello di successo svizzero, che vanta le migliori condizioni quadro economiche.

26. novembre 2020

Lo storico di Oxford sostiene la Confederazione

René Scheu, responsabile dell’inserto culturale del «Neue Zürcher Zeitung», esamina il libro del professore di storia ad Oxford Oliver Zimmer «Wer hat Angst vor Tell? Unzeitgemässes zur Demokratie» (Chi ha paura di Tell? L’anacronismo della democrazia). In base a tale libro, il Parlamento avrebbe poco da riferire all’UE. Oltre al Consiglio europeo, dominato da Germania e Francia, le corti UE stanno ampliando i propri poteri in continuazione. Giudici non eletti attuano politiche economiche, sociali, occupazionali e migratorie, senza una base costituzionale, interferendo così addirittura nella sovranità di uno stato non membro dell’UE, la Svizzera. La conclusione di Zimmer, come riportato dal «NZZ»: adottando l’accordo quadro, «nobiliteremmo» ulteriormente i «giudici estranei». Questo comporterebbe «la fine della democrazia così come la conosciamo». Da tempo, però, è il piccolo ad essere promettente, non ciò che è centrale. «Perché la Confederazione dovrebbe darsi all’arcaico proprio quando è diventata più moderna che mai?»

21. novembre 2020

La posizione di autonomiesuisse sta riscuotendo un grande consenso

Da quando si è presentato al pubblico il 13 novembre 2020, il movimento autonomiesuisse, radicato nell’imprenditoria e nell’economia svizzera, ha scatenato una vera e propria valanga di servizi giornalistici in tutte le regioni del Paese e al di là dei suoi confini. Come risultato, il numero dei membri è raddoppiato nel giro di pochi giorni. La copresidenza rimane a disposizione per spiegare come mai il presente accordo quadro comprometterebbe i vantaggi economici della Svizzera.

15. novembre 2020

Il Consiglio federale cade nella trappola

Il Consiglio federale intende perseguire ancora il dialogo con la Commissione UE. Cerca di salvare l’accordo quadro – se l’UE fa ancora concessioni sulla protezione dei salari, sull’accesso ai sussidi sociali e sugli aiuti di stato. «Probabilmente raggiungerà gran parte di ciò che chiede – rimanendo poi intrappolato», commenta l’ex ambasciatore Paul Widmer sulle pagine del «TagesAnzeiger», aggiungendo: «Quello che sembra essere un successo in realtà è un fallimento.» Ritiene, infatti, che questo accordo comporti un’enorme perdita di sovranità. Quanto ai problemi fondamentali, come l’adozione dinamica dei diritti ed il ruolo della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) in caso di controversie, non è stata cambiata «nemmeno una virgola». Se l’accordo dovesse essere ratificato, la Svizzera non potrebbe più tornare indietro: «Potrebbe solo entrare completamente nell’UE.»

13. novembre 2020

autonomiesuisse lancia una campagna per un accordo quadro migliore

Ampi settori dell’economia svizzera temono che, in seguito al presente accordo quadro con l’UE, la Svizzera possa perdere i suoi vantaggi concorrenziali. Per questo motivo, gli imprenditori e i rappresentanti del mondo economico centrista hanno dato vita all’iniziativa autonomiesuisse. Durante una conferenza stampa tenutasi il 13 novembre 2020 nel Palazzo federale, il Dott. Hans-Jörg Bertschi - presidente del CdA Bertschi Group, il Prof. Dott. Martin Janssen - presidente del CdA Ecofin Group, Marco Romano - Consigliere nazionale Ticino, Kristiane Vietze - segretario del CdA Baumer Group e consigliera cantonale Turgovia, e il Dott. Hans-Peter Zehnder - presidente del CdA Zehnder Group AG, hanno presentato la loro campagna per un accordo quadro migliore. Il loro obiettivo è sensibilizzare la politica e la popolazione, utilizzando soprattutto i social media. autonomiesuisse sta ampliando il suo numero di membri ed è a disposizione per richieste da parte dei media e per eventi.

10. novembre 2020

La Svizzera dovrebbe chiedere un accordo sul modello del Canada?

Come partner commerciale, il Canada è molto meno importante per l’UE della Svizzera. Eppure il Canada è riuscito a concludere un accordo vantaggioso con l’UE – il CETA – che va ben oltre un accordo di libero scambio, interessando molti degli ambiti trattati nei nostri attuali accordi bilaterali. Contrariamente al presente accordo quadro tra la Svizzera e l’UE, si fonda su una clausola d’arbitrato bilaterale alla pari ed esclude punti controversi come la protezione dei salari e la direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE. Il «Tages Anzeiger» ha confrontato i due accordi nei dettagli.

24. ottobre 2020

Accordo quadro: una «missione impossibile»?

Il Consiglio federale ha sostituito il negoziatore dell’accordo quadro istituzionale, Roberto Balzaretti, con Livia Leu; la sua posizione, tuttavia, rimane poco chiara. «La cosa più stupida che possa succedere ora sarebbe che la Signora Leu avesse successo nei negoziati a Bruxelles e che l’UE mollasse sui tre punti secondari lasciando però irrisolta la questione della sovranità», commenta Arthur Rutishauser, caporedattore del «Tages-Anzeiger». A suo parere, c’è bisogno di un mandato chiaro per rinegoziare anche questi punti. Perché non potremmo «permetterci un lockdown nella politica europea».

21. ottobre 2020

Micheline Calmy-Rey: «Non precipitiamoci a Bruxelles»

L’accordo quadro con l’UE «annullerebbe tutti i risultati di anni di fruttuosa collaborazione della Svizzera con l’UE. Non saremmo trattati diversamente da un qualsiasi altro Paese terzo al quale vengono imposti controlli e pareri vincolanti della Corte di giustizia dell’Unione europea...», scrive Micheline Calmy-Rey, Consigliera federale e Capo del Dipartimento federale degli affari esteri dal 2003 al 2011, sul settimanale «Weltwoche». Calmy-Rey ritiene che non ci sia «assolutamente alcuna fretta» di firmare un accordo, piuttosto consiglia di guardare al modello inglese, di trovare un’intesa interna e poi di rinegoziare l’accordo «a fondo».

12. ottobre 2020

Andenas/Baudenbacher: «Uno Spazio Economico Europeo dei poveri»

Mads Andenas, professore dell’Università di Oslo, e Carl Baudenbacher, ex presidente della Corte di giustizia dell’AELS e arbitro indipendente, scrivono sulla «NZZ» che l’accordo quadro presenta elementi di iniquità. Ma cosa si intende per «accordo iniquo»? Gli esperti fanno questo esempio: nel 1842 le potenze occidentali sconfissero la Cina nella prima guerra dell’oppio, costringendola a un accordo con pesanti minacce. Così la Cina dovette sottostare alle corti di giustizia britanniche e americane. Questo trattato diede il via a un’epoca chiamata dai cinesi «il secolo dell’umiliazione».

Andenas e Baudenbacher concludono affermando che l’accordo quadro è una sorta di «Spazio Economico Europeo dei poveri».

11. ottobre 2020

Nessuna certezza del diritto, ma piuttosto incertezza

A un’attenta lettura dell’accordo quadro istituzionale emergono i suoi evidenti punti deboli, scrive Paul Aenishänslin, direttore della Società Svizzera di Public Affairs (SSPA), sul quotidiano «Der Bund». A suo parere, con questo accordo le relazioni tra la Svizzera e l’UE non acquisterebbero basi sicure, ma si indebolirebbero. L’UE, infatti, potrebbe revocare l’accordo con la Svizzera in qualsiasi momento, annullando di conseguenza anche l’accordo di libero scambio del 1972. La Svizzera diverrebbe quindi ricattabile, nel senso del Re degli Elfi di Goethe: «E se tu non vuoi, ricorro alla forza».

07. ottobre 2020

Una nuova rete di imprenditori contro l’accordo quadro istituzionale

Nel giro di 25 anni Alfred Gantner, Marcel Erni e Urs Wietlisbach hanno trasformato il Partners Group in un’azienda globale con un giro d’affari miliardario, leader nel campo del private equity. Ora il trio ha deciso di costituire una rete contro l’accordo quadro istituzionale insieme a «centinaia di imprenditori», secondo quanto riportato dall’«Aargauer Zeitung». Alfred Gantner sostiene che le associazioni economiche non rappresentano gli interessi della Svizzera e nemmeno dell’economia nel suo complesso. Se, a livello politico, egli si definisce «piuttosto centrista», gli imprenditori che si oppongono all’accordo quadro sono invece politicamente indipendenti.

06. ottobre 2020

Rudolf Strahm: «Ricette contro il pressing dell’UE»

Già il giorno dopo il rifiuto dell’iniziativa per la limitazione promossa dall’UDC, Bruxelles ha dato l’ultimatum al Consiglio federale chiedendogli di firmare quanto prima l’accordo quadro istituzionale. Tuttavia, sulle pagine del «Tages-Anzeiger», l’ex supervisore dei prezzi ed ex Consigliere nazionale del PS Rudolf Strahm avverte che non si tratterebbe della «continuazione del percorso bilaterale», come «gli affabulatori dell’UE vogliono farci credere, ma di una violazione procedurale di tutti i gli accordi bilaterali». Strahm considera l’accordo un «trasferimento di sovranità a Bruxelles riguardante normative future di cui oggi non conosciamo per nulla il contenuto». Di conseguenza, suggerisce tre mosse al Consiglio federale: chiarire chi deve occuparsi dei negoziati, proporre emendamenti concreti al testo dell’accordo e decidere in quali casi desidera far fallire l’accordo.

28. settembre 2020

«Il no all’iniziativa per la limitazione non è un sì all’accordo quadro»

L’elettorato ha chiaramente respinto l’iniziativa per la limitazione. Meno chiaro appare invece il risultato del voto. Ivana Pribakovic ha chiesto all’ex diplomatico Paul Widmer un parere ai microfoni di «SRF Audio». Egli sostiene che il risultato del voto mostra che il popolo è a favore dei trattati bilaterali, ma ritiene fuorviante giungere alla conclusione che si debba quindi procedere a spron battuto alla firma dell’accordo quadro. «Una critica sostanziale all’accordo quadro da parte di un ex Consigliere federale ed ex responsabile svizzero dei negoziati non sorprende considerato il risultato», ha dichiarato Widmer. Se è vero che il Consiglio federale aspira a delle modifiche, «si tratta soltanto di una cura dei sintomi che non va alla radice del problema. Questo accordo ci costringerebbe a recepire in modo dinamico il diritto comunitario e a sottometterci al tribunale arbitrale dell’Unione europea.»

19. settembre 2020

Johann Schneider-Ammann: «L’accordo quadro limita troppo la sovranità»

«Perché mai abbiamo abbozzato un accordo quadro istituzionale così squilibrato (...)?», si chiede Johann Niklaus Schneider-Ammann sulla Neue Zürcher Zeitung. L’imprenditore, che dal 2010 al 2018 è stato anche Consigliere federale, è tanto più sorpreso ritenendo che «nessun altro Paese europeo, compresi gli stati membri dell’UE» sia meglio integrato in Europa della Svizzera. Il Consigliere federale ha ammesso la necessità di «chiarimenti» in merito alla protezione dei salari, alla direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE e agli aiuti di stato. «Ma queste tre domande non sono affatto esaustive», il già Consigliere federale scrive: «Nei (post-)negoziati bisogna assolutamente affrontare anche la questione fondamentale della sovranità dello stato.» Ritiene che si sia perso l’equilibro a discapito della Svizzera: «Non dobbiamo aderire all’UE, e nemmeno prepararci a farlo con un accordo quadro istituzionale squilibrato.»

29. luglio 2020

Sergio Ermotti: «Questo accordo quadro? No.»

«È a favore dell’accordo quadro istituzionale?», «Weltwoche» ha chiesto a Sergio Ermotti, da tempo CEO di UBS e presidente designato di Swiss Re. La risposta: «Nella forma odierna? No, perché non avrebbe la maggioranza.» Lascia inoltre intendere di considerare la neutralità «non trattabile».

«Non dobbiamo scendere a compromessi su questo punto, anche se nel breve termine questo comporta costi e difficoltà. La Svizzera non deve lasciarsi ricattare. Dobbiamo avere sempre un piano B», ha ribadito Ermotti rivolgendosi alla politica.

19. luglio 2020

Cosa dovrebbe imparare la Svizzera dalla Germania

L’integrazione dell’UE è spesso dettata dai giudici. Questo è inammissibile – dichiara proprio la suprema corte tedesca, la Corte costituzionale federale: gli «onnipotenti giudici dell’UE» comprometterebbero la sovranità del popolo. Paul Widmer, diplomatico da circa 40 anni, sulla «Neue Zürcher Zeitung am Sonntag» consiglia alla Svizzera di considerare seriamente il segnale d’allarme del più importante Paese dell’UE. Ecco il motivo: l’accordo quadro prevede che, in caso di controversie, l’ultima parola spetti alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Ai britannici l’UE aveva proposto una procedura di composizione delle controversie simile a quella proposta alla Svizzera. L’hanno rifiutata categoricamente. «Un tale inchino non è degno di uno stato sovrano», conclude Widmer.

29. giugno 2020

Il responsabile dei negoziati degli accordi bilaterali II chiede che si riprenda a negoziare

Che oggi l’UE si metta a fare da «moralizzatore» nei confronti della Svizzera è davvero fuori luogo. La Svizzera non deve solo chiarire gli aspetti sostanziali dell’accordo quadro istituzionale, ma anche rinegoziare tutta una serie di punti. È quanto sollecita al Consiglio federale il Prof. Dott. Michael Ambühl, responsabile dei negoziati degli accordi bilaterali II e docente di conduzione dei negoziati e gestione dei conflitti presso il Politecnico federale di Zurigo. Sulla «Neue Zürcher Zeitung» Ambühl sostiene che gli accordi bilaterali I e II, così come l’accordo di libero scambio con l’UE, sono il risultato di negoziati equi. Nell’abbozzare l’accordo quadro istituzionale, però, si sono persi gli interessi della Svizzera. Ritiene che la Svizzera non debba rinunciare alla sua sovranità. Non dovrebbe «firmare un accordo solo per porre fine ai negoziati».

16. giugno 2020

Classifica IMD: la Svizzera rimane competitiva

La Svizzera è uno dei tre Paesi con la più alta competitività – almeno stando alla classifica dell’International Institute for Management Development (IMD). Solo Singapore e la Danimarca occupano una posizione migliore. Due anni fa la Confederazione è passata dal secondo al quinto posto. Da allora si continua a salire. Gli Stati Uniti sono scesi di parecchie posizioni, rimanendo comunque nei Top Ten. Due anni fa gli Stati Uniti erano ancora in testa.

16. giugno 2020

Professore di economia tedesco: «Aspettare e osservare»

La Svizzera dovrebbe momentaneamente mettere da parte l’accordo quadro progettato con l’UE? Il professore tedesco di economia e quattro volte dottore honoris causa Hans-Werner Sinn, ex presidente dell’istituto Ifo di Monaco di Baviera e Professore invitato presso l’Università di Lucerna, condivide questa opinione, come rivela in un contributo video dell’Università di Lucerna. La Svizzera dovrebbe quindi aspettare e vedere come procede la Brexit. La sua posizione negoziale potrebbe uscirne rafforzata. Che la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) debba fungere da organo arbitrale in caso di controversie durante i negoziati, viene visto con scetticismo da Hans-Werner Sinn – se fosse nella Svizzera non accetterebbe in nessun caso.

12. giugno 2020

Sebastian Kurz invidia la Svizzera

Non sorprende che il cancelliere austriaco Sebastian Kurz abbia elogiato il suo pacchetto di aiuti per il coronavirus. Sorprende però la sua spiegazione del perché l’Austria è in ritardo rispetto alla Svizzera: «Nell’emergenza coronavirus, l’Austria non può prestare aiuto con la stessa rapidità della Svizzera perché le norme UE non lo consentono.» L’esperto fiscalista Gottfried Schellmann spiega ciò nel «Neue Zürcher Zeitung»: «La legge sugli aiuti di stato dell’UE sta soffocando il settore delle PMI.» Ai sensi della vigente normativa UE, l’Austria non è autorizzata ad aiutare molte PMI.

06. giugno 2020

Debutta autonomiesuisse

Quella che da tempo è stata un’idea forte adesso ha assunto una forma giuridica: le personalità dell’imprenditoria che invocano la ripresa dei negoziati sull’accordo quadro con l’UE hanno fondato l’associazione «autonomiesuisse – per una Svizzera aperta al mondo, vincente e libera». «Nel nome è già chiaro il nostro impegno per la Svizzera. Richiama altresì Economiesuisse», spiega il Dott. Hans-Jörg Bertschi, presidente del CdA del Bertschi Group. «Abbiamo intensificato le nostre attività perché temiamo che l’attuale accordo quadro con l’UE possa peggiorare notevolmente le nostre condizioni quadro economiche», ribadisce il Prof. Dott. Martin Janssen, presidente amministrativo dell’Ecofin Group. «Buona parte del nostro lavoro consiste nel contestare opinioni diffuse ma errate con fatti e numeri», aggiunge il Dott. Hans-Peter Zehnder, presidente del CdA del Zehnder Group. I tre imprenditori formano il comitato direttivo della copresidenza.

29. maggio 2020

Alexandra Janssen rafforza la copresidenza

Alexandra Janssen porta una ventata di aria fresca nella copresidenza, per una Svizzera aperta al mondo, vincente e libera. L’economista e specialista di finanza è partner dell’Ecofin Group. È titolare di una docenza all’Università di Zurigo nell’ambito della Financial Economics e Consigliera di fondazione di una Cassa Pensioni.

23. marzo 2020

I Paesi dell’UE sequestrano le merci svizzere

La pandemia di Covid-19 ha dimostrato che in situazioni di emergenza ogni Paese persegue i propri interessi. Ogni Paese, ad esempio, ha chiuso autonomamente le frontiere senza consultarsi con quelli vicini. La Germania, l’Italia e la Francia, inoltre, hanno bloccato alla frontiera svizzera le forniture di prodotti farmaceutici – senza tener conto delle norme vigenti. Molte merci, infine, sono state sequestrate in Paesi dell’UE.

07. marzo 2020

Peter Spuhler: «Così non lo sottoscriverei!»

Peter Spuhler si è dimesso dalla carica di Consigliere nazionale per concentrarsi sulla sua azienda, la Stadler Rail. Tuttavia non ha abbandonato del tutto l’agone politico. Di recente ha segnalato le insidie dell’accordo quadro con l’UE, che riguardano «non soltanto tre temi scottanti e ampiamente discussi come la protezione dei salari, la direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE e gli aiuti di stato», ma anche «la giurisdizione». Come già dichiarato al settimanale «Weltwoche», per lui una cosa è chiara: «Così come è formulato ora, non sottoscriverei assolutamente l’accordo quadro».

25. febbraio 2020

Pressing sulle tecnologie medicali: minacce insignificanti dall’UE?

Dal quartier generale dell’UE, a un giornalista di Tamedia è stata ventilata la minaccia secondo la quale entro il 26 maggio 2020 il Consiglio federale dovrebbe pronunciarsi a favore dell’accordo quadro istituzionale. In caso contrario, i prodotti medicali provenienti dalla Svizzera perderebbero l’accesso al mercato dell’UE. L’ex sorvegliante dei prezzi e Consigliere nazionale Rudolf Strahm ha esaminato i retroscena di questo «ultimatum», giungendo alla conclusione che nella peggiore delle ipotesi le tecnologie medicali svizzere potrebbero essere trattate come quelle provenienti da Paesi terzi – dunque come quelle giapponesi, coreane o statunitensi. Ci sarebbero conseguenze dal punto di vista burocratico, ma tutto sommato gestibili. «Politicamente dobbiamo prepararci ad affrontare in modo flessibile questo pressing sulla politica commerciale da parte delle grandi potenze – che si tratti di minacce da Bruxelles, Washington o Pechino – adottando contromisure intelligenti», scrive Strahm.

14. gennaio 2020

La Corte di giustizia dell’Unione europea tutela il dumping salariale

Nonostante tutte le rassicurazioni, le misure protettive della Svizzera contro il dumping salariale previste dall’accordo quadro potrebbero essere messe ulteriormente sotto pressione da chi non ti aspetteresti – la Corte di giustizia dell’Unione europea. A farlo presupporre è una sentenza che Martin Höpner, ricercatore presso l’Istituto Max Planck di sociologia di Colonia, commenta in un articolo della rivista tedesca di politica economica «Makroskop - Magazin für Wirtschaftspolitik». In realtà anche nell’UE vale il principio «stesso salario per lo stesso lavoro nello stesso luogo». È successo però che le Ferrovie Austriache (ÖBB) abbiano assegnato il catering sui treni a un’azienda austriaca che ha passato l’incarico a un’azienda subappaltatrice ungherese. Nel 2016, un controllo alla stazione centrale di Vienna ha fatto emergere che gli standard minimi di lavoro e retribuzione non venivano rispettati. L’Austria voleva comminare una sanzione all’azienda subappaltatrice, ma la Corte di giustizia dell’Unione europea ha bloccato il provvedimento, sostenendo che «l’Austria violerebbe il diritto dell’UE». Höpner teme che non serva molta fantasia per capire che le aziende potrebbero dare seguito in diversi modi alla strategia commerciale autorizzata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.

20. dicembre 2019

L’ex capo economista di Economiesuisse critica l’accordo quadro

L’accordo quadro istituzionale rappresenterebbe un attacco nascosto all’accordo di libero scambio del 1972 tra la Svizzera e l’UE, scrive il Dott. Rudolf Walser, ex capo economista di Economiesuisse, sulle pagine del «Neue Zürcher Zeitung». In base all’accordo quadro, bisognerebbe rinegoziare l’accordo di libero scambio e sostituire il meccanismo bilaterale di composizione delle controversie con un meccanismo nel quale la Corte di giustizia dell’Unione europea ha l’ultima parola. La Svizzera perderebbe così la facoltà di stipulare accordi di libero scambio con Paesi terzi – «con notevoli conseguenze negative per l’export svizzero». Walser suggerisce alla Svizzera di seguire il modello del Canada, il cui accordo CETA con l’UE dimostrerebbe che due partner possono regolamentare le proprie relazioni anche senza svendersi.

18. dicembre 2019

Beat Kappeler: «Economiesuisse è sulla strada sbagliata»

L’accordo quadro porterebbe a una «totale perdita di sovranità a causa dell’adozione dinamica dei diritti, della direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE (con costi non calcolabili), della rinuncia al ricorso ad altri tribunali e della subordinazione alla Corte di giustizia dell’Unione europea». A sostenerlo in un articolo del settimanale «Weltwoche» è il Dott. Beat Kappeler, economista ed ex segretario sindacale. A suo dire, Economiesuisse agirebbe con un «atteggiamento lagnoso» e sarebbe «strategicamente sulla strada sbagliata». Kappeler ha affermato testualmente: «Se nella storia svizzera per guadagnare cinque franchi in più avessimo sempre ceduto, da molto tempo saremmo una provincia di un Paese vicino».

12. dicembre 2019

Gerhard Pfister: «Serve un accordo migliore»

Il presidente del PPD Gerhard Pfister non si fa remore ad affermare che l’accordo quadro non è in grado di ottenere la maggioranza dei consensi. A infastidirlo, tra l’altro, è il ruolo dominante della Corte di giustizia dell’Unione europea. «Serve un accordo migliore», ha dichiarato sulle pagine di «SonntagsBlick», aggiungendo che spetta al Consiglio federale stabilire come.

16. marzo 2019

Nick Hayek: «Non facciamoci ricattare!»

Chi pone una domanda a Nick Hayek, presidente e membro del consiglio di amministrazione dello Swatch Group, deve aspettarsi una risposta netta. «Non dovremmo farci ricattare», ha dichiarato ai microfoni di «Radio SRF» in merito ai negoziati con l’UE. A suo parere, l’accordo quadro sarebbe più importante per l’UE che per la Svizzera. In un’intervista per le testate «CH Media» ha aggiunto: «Il successo nell’esportazione dei prodotti non ha nulla a che vedere con l’accordo». Secondo Hayek, a risultare determinante sarebbe la capacità dell’industria svizzera di realizzare prodotti innovativi e di alta qualità che godano di grande fiducia; del resto, la Svizzera disporrebbe di condizioni quadro migliori rispetto all’UE.