Sei mesi fa l’UE ha declassato la Svizzera a Paese terzo e Swiss Medtech ha colto l’occasione per tastare il polso del proprio settore. La diagnosi è che le aziende svizzere sono in salute sotto il profilo delle esportazioni. Soltanto 54 produttori hanno problemi di export, perché la Commissione Europea non riconosce più l’ente di certificazione svizzero SQS (sono in atto dei ricorsi in merito). Le cose vanno diversamente sul fronte delle importazioni dall’UE. In questo comparto la burocrazia svizzera è peggiore di quella dell’UE? «Con gli ostacoli alle importazioni creati a livello interno, la Svizzera mette in pericolo l’assistenza sanitaria della propria popolazione», sostiene con preoccupazione Swiss Medtech esortando la Confederazione a modificare entro fine anno l’Ordinanza relativa ai dispositivi medici. «Poco importa che si tratti di tecnologia medica o energia: prima dei negoziati con l’UE la Svizzera deve svolgere i suoi compiti a casa e rafforzare la propria posizione», sottolinea il Prof. Dott. Giorgio Behr, imprenditore del BBC Group e co-presidente di autonomiesuisse. Behr raccomanda di incrementare in modo significativo le capacità di produzione di energia elettrica, poiché quest’ultima sta diventando in tutta Europa una risorsa limitata. Inoltre consiglia di occuparsi adeguatamente della situazione delle 54 imprese medtech in difficoltà. Tuttavia non ritiene opportuno farsi prendere dal panico per l’assistenza sanitaria. «Per l’importazione di dispositivi medici UE abbiamo bisogno di una soluzione efficace. Parallelamente, dovremmo testare e incentivare alternative da altre aree del mondo», suggerisce Behr. Secondo il co-presidente, sin dall’Antica Roma nel commercio si è affermato il principio del «do ut des» («io do affinché tu dia»): «anche la Svizzera dovrebbe continuare a seguirlo».